QUANDO la PROMOZIONE SFUMA di un SOFFIO (per colpa di un mancato sponsor … forse)

Eri strasicuro, la promozione, per cui tanto ti eri dato da fare, era in arrivo, non a caso il capo ufficio più volte aveva portato ad esempio il tuo impegno, e l’AD ti aveva elogiato pubblicamente per come avevi gestito un progetto con un cliente importante.

Ma poi le cose sono andate diversamente…

Pur riflettendoci, non riesci a capacitarti di cosa sia andato storto, non ci sono stati da parte tua errori evidenti, mancanze… anzi. Tutto il contrario.

E se l’errore fosse stato quello di non saper distinguere fra i tuoi sostenitori, fan per usare un gergo moderno, e coloro che hanno un reale impatto sulla tua crescita professionale?

I fan sono persone che hanno una visione positiva di un dipendente, di un collega, ma non sono personalmente coinvolte nel successo di quell’individuo. Puoi avere dei fan, come l’ad, e un mentore, il capo ufficio, ma non avere degli sponsor.

CHI E’ UNO SPONSOR

Uno #sponsor è qualcuno che ha investito personalmente nella carriera di un dipendente e che dispone anche di sufficiente potere per influenzare decisioni aziendali come promozioni e aumenti.

In questo caso, l’errore è aver pensato che il capo ufficio fosse lo sponsor, ignorando più o meno consapevolmente che avesse anche titolo nell’organizzazione per sostenerne la promozione.

Non tutti hanno uno sponsor ma, per il successo professionale a lungo termine, averne è fondamentale. Ecco perché è importante saperli individuare e coltivare.

Occupandosi di comportamento organizzativo non è raro trovarsi a gestire situazioni di questo tipo.

Per non rimanere delusi, limitare i danni e utilizzare al meglio sforzi, risorse e capacità occorre essere in grado di distinguere e individuare chi può essere per noi solo un sostenitore e chi invece ha sufficiente potere e ruolo per prendere decisioni che ci riguardano.

Per semplificare, possiamo classificare il mondo del lavoro in quattro tipologie: fan occasionali, superfan, mentori e sponsor.

FAN OCCASIONALI E SUPER FAN

Hanno una visione positiva di un dipendente ma non si sentono personalmente responsabili del suo successo. Se qualcuno chiede loro informazioni su una determinata persona, diranno cose carine ma non si impegneranno a sostenerla. Né i fan occasionali né i super fan faranno qualcosa per supportare il dipendente. Nel nostro esempio, l’amministratore delegato era un superfan: sebbene fosse disposto a lodare il dipendente pubblicamente, non era personalmente coinvolto nel suo successo al punto da sostenerne la promozione.

Spesso confondiamo fan e superfan con gli sponsor.

MENTORI

Investono nello sviluppo del dipendente molto più di un fan. Si preoccupano di aiutare un individuo ad avere successo, ma non hanno il potere necessario nell’organizzazione per assumere un ruolo di sponsorizzazione. La differenza fondamentale tra sponsor e mentori è che, con uno sponsor, il focus della relazione è nel sostenere la progressione di carriera di un individuo e, con un mentore, l’enfasi è sullo sviluppo del dipendente come persona e professionista.

Mi è capitato di lavorare con un giovane professionista che credeva, impropriamente, che il senior manager a cui riferiva, fosse uno sponsor forte, perché spesso lo portava a pranzo, lo presentava a persone di alto livello e lo indirizzava su come affrontare situazioni interpersonali difficili sul lavoro. Tuttavia, quando si trattava di inserirlo in progetti prestigiosi, non aveva sufficiente potere e ruolo per farlo.

SPONSOR

Gli sponsor sono come i super fan in quanto parlano apertamente delle prestazioni di una persona, ma possono usare il loro ruolo e potere nell’azienda per avanzarne la carriera. Il ruolo di uno sponsor è investire nello sviluppo del dipendente. La sponsorizzazione può assumere la forma dell’inclusione intenzionale della persona in team desiderabili, garantendo l’accesso su progetti in linea con i suoi interessi e consentendogli di acquisire le competenze necessarie per l’avanzamento di carriera.

Una trappola comune per molti è presumere che solo i dirigenti senior possano essere, di default, sponsor efficaci. Sebbene le aziende abbiano spesso programmi formali di mentoring, la sponsorizzazione tende ad essere informale e organica, quindi le conversazioni sincere sono importanti per confermare il livello di investimento e supporto personale di un potenziale sponsor.

Il modo in cui gli individui vengono supportati o meno da manager e leader nelle loro organizzazioni ha un impatto diretto sul successo lavorativo e sulla carriera.

Le risorse umane hanno un ruolo importante in tal senso. Possono e devono aiutare i dipendenti a identificare le persone nell’organizzazione che possono migliorare le loro prospettive di carriera. Questo vale per tutti ma soprattutto per quei professionisti che sono i primi, nelle loro famiglie, a lavorare in un contesto aziendale o di servizi professionali. Spesso non hanno nessuno che possa consigliarli e rischiano più di altri di confondere sponsor con mentori.

Anche se un leader si considera un paladino della diversity and inclusion, questo non lo trasforma automaticamente in sponsor, ma in mentore. Con tutto quello che questo può comportare.

LA FIDUCIA

La fiducia è una parte importante della creazione di una relazione di supporto e uno dei modi in cui le persone costruiscono fiducia con gli altri è essendo affidabili. Trovare il tempo per fornire supporto quando è necessario crea fiducia. I migliori mentori e sponsor forniscono soluzioni concrete, feedback che contribuiscono alla crescita e allo sviluppo di un dipendente.

Potrebbe non essere sempre ciò che l’individuo vuole sentire, ma spesso può essere ciò di cui ha bisogno.

Non esiste un mix perfetto di tipi di supporto in un’organizzazione. Soprattutto a inizio carriera. Ciò che si dovrebbe fare è mirare a costruire, nel tempo, team che includano individui di ciascuna tipologia e rappresentino vari livelli all’interno della gerarchia organizzativa e, di conseguenza, diversi tipi di potere.

I leader dovrebbero assicurarsi che la loro azienda disponga di un sistema per il progresso di carriera e di una politica di diversità e inclusione che tutti, compresi mentori e sponsor, comprendano. Per i dipendenti è importante sapere come distinguere tra fan occasionali, super fan, mentori e sponsor.

Riconoscendo i diversi tipi di sostenitori nel proprio ecosistema organizzativo, adottando misure per sviluppare un’ampia coalizione di supporto e rivisitando regolarmente la propria matrice di supporto, i professionisti possono posizionarsi per il successo ora e in futuro.

E, credetemi, non è poco.

I MIGLIORI (AD) NON smettono MAI di IMPARARE

Laura, credo di essere quella lepre che, nel racconto di Esopo, ha fatto l’errore di sottovalutare una tartaruga. Dalla lentezza con la quale arrancava, mai avrei pensato mi potesse superare. Mi sa che sono caduto nella trappola dell’autocompiacimento”.

E’ facile che questo accada quando, in una posizione di comando e in breve tempo, si sono ottenuti grandi risultati; mentre colleghi in posizione analoga, in altre organizzazioni, non essendo riusciti ad avere risultati simili, nel peggiore dei casi sono stati estromessi dal ruolo o nella migliore delle ipotesi si sono trovati alle prese con la temuta sindrome dell’hockey stick: quella in cui un AD che prevede miglioramenti oltre misura ottiene, nel tempo, solo piccoli progressi.

Diventare AD di successo è impresa difficile, ma mantenere il ruolo lo è ancora di più. I dati lo confermano: più della metà delle società Fortune 500 nel 2000 sono fallite, sono state acquisite o hanno cessato di esistere nei successivi 15 anni.

Questo a causa dell’autocompiacimento: nessuno vuole essere il pugile che vince il massimo titolo, si ammorbidisce e lo perde senza tante cerimonie a favore di un altro pugile promettente ma più affamato.

Raro è incontrare un AD che dica: “Sto diventando autocompiacente“. Ne ho incontrati molti che riconoscono di esserne vittime solo quando vedono una tartaruga davanti a loro.

ANCHE SE HAI TUTTE LE RISPOSTE…

Uno degli AD più rispettati, influenti e di successo del 21° secolo, Jamie Dimon di JPMorgan Chase, nel suo primo mandato, ha navigato abilmente all’interno del colosso dei servizi finanziari durante la crisi finanziaria del 2008. Un anno dopo, è stato nominato AD della società di revisione Brendan Wood International. E così, avanti veloce fino al 2012, quando si è trovato ad affrontare una crisi dopo che la sua azienda ha subito una perdita commerciale di 6 miliardi di dollari. Quando gli è stato chiesto cosa fosse andato storto ha confessato: “La grande lezione che ho imparato è quella di non accontentarsi, nonostante un track record di successo“.

Negli anni centrali del percorso di un AD, è l’AD l’autore dello status quo dell’organizzazione. Ciò rende molto più difficile per lui giudicare l’attività in modo spassionato e interrompere o cambiare ciò che (non) funziona. Inoltre, con più successo arriva anche una maggiore #fiducia nel proprio giudizio e nelle proprie capacità. “Il problema di essere un AD da molto tempo”, afferma James Gorman, CEO di Morgan Stanley “è che tutti ti dicono che hai tutte le risposte. È confortante per l’ego ma anche molto pericoloso”.

Quando si riesce a sopraffare la concorrenza e pochi sono i competitor che possono intimorire, diventa via via più difficile definire cosa significhi #vincere. Nel frattempo, a meno che non si sia ancora il primo motore del cambiamento, anche l’organizzazione diventerà compiacente.

COME SOSTENERE PRESTAZIONI ELEVATE NEL TEMPO (a scapito dell’ego)

DEDICA TEMPO ALL’APPRENDIMENTO.

Nei primi anni da AD, hai imparato una quantità straordinaria di cose. Le conversazioni, i confronti con clienti, dipendenti, investitori, analisti, consiglieri e altre parti interessate ti hanno aiutato a plasmare la strategia che ha portato al successo che ti stai godendo oggi. Ora sei inondato di richieste per raccontare la tua storia e condividere le tue vittorie con gli altri. Sebbene queste richieste siano ben meritate, parimenti aumentano le distrazioni.

Puoi vincere premi; ottenere riconoscimenti. Tutte cose buone. Ma il tuo compito è fare ogni anno meglio di quello precedente”. Sono i pericoli su cui Flemming Ørnskov, CEO della società farmaceutica Galderma, punta il dito.

Il punto non è ritirarsi dall’impegno esterno. Ma assicurarsi di passare il tempo ad ascoltare, imparare e collegare i punti invece di parlare (solo e semplicemente) dei #successi ottenuti.

Nel caso di Ørnskov, il suo successo all’inizio gli ha permesso di delegare maggiori responsabilità al team, il che significava che poteva trascorrere più tempo al di fuori dell’ufficio, ma solo su cose che avrebbero aiutato l’azienda a rimanere competitiva. “Conoscevo tutti i principali opinion leader. Ho passato tantissimo tempo a capire cosa stava succedendo, vedere pazienti, incontrare medici, andare a conferenze scientifiche per conoscere le ultime novità dalla ricerca e studiare i concorrenti sul campo[1].

Per l’ex CEO di LEGO Jørgen Vig Knudstorp, un improbabile gruppo di clienti è stato determinante: la community di adulti, fan del gioco. L’AD si unì a una delle loro conferenze, guadagnandone la fiducia, e loro lo aiutarono in alcune #scelte strategiche. I clienti adulti di LEGO ora ammontano a più di un milione in tutto il mondo, il 30% del business globale di LEGO.

Il CEO di Dupont, Ed Breen: “Mi incontro spesso con gli attivisti. Se sai ascoltare, spesso hanno buone idee. E quando non mi sono trovato d’accordo con loro, ho cercato soluzioni che potessero soddisfare entrambi. Il loro punto di vista è: se Ed ha un modo migliore per risolvere un problema, bene. Lo faccia. Con questo approccio, ho scoperto che spesso diventano tuoi alleati”.

Breen consiglia inoltre di unirsi fra pari e parlare liberamente di argomenti chiave. “Si impara molto ascoltando ciò che le persone vedono nei loro mercati, ed è a un livello che va più in profondità di quello che si legge sul Wall Street Journal. Ogni volta, trovo sempre nuove idee”.

L’ex CEO di Nestlé Peter Brabeck-Letmathe ha invece ricalcato la #strategia Disney: mentre progettava i film d’animazione, già pensava a come ottenere il massimo da quei film nei successivi dieci anni. “Invece di creare un solo ingrediente per un prodotto, che ha un valore limitato, mi sono messo a pensare a come trasformare un ingrediente nutrizionale in un marchio e come sfruttarlo nel successivo decennio” Le persone fanno cose in modi diversi, e puoi sempre imparare qualcosa e applicarlo nella tua organizzazione.

Si può apprendere molto anche dall’interno, come ha fatto Brad Smith, ex CEO del gigante del software finanziario Intuit: “solitamente dedicavo due incontri a settimana con persone di diversi livelli inferiori nell’organizzazione e a tutti ponevo tre domande:

–      Cosa sta migliorando rispetto a sei mesi fa?

–      Cosa non sta facendo abbastanza progressi o sta andando nella direzione sbagliata?

–      C’è qualcosa che temi e che nessuno mi sta dicendo ma credi che io abbia bisogno di sapere?’

Questo permette di accedere a ogni livello dell’organizzazione, eliminando ogni filtro.

PRENDI LA PROSPETTIVA DI UN ESTRANEO.

In uno degli esperimenti di Kahneman, un negozio di alimentari ha messo in vendita i prodotti Campbell Soup per 79 centesimi con un cartello che diceva “limite 12 barattoli per cliente“. Un altro negozio gestiva la stessa vendita ma senza limiti di acquisto. In media, nel primo punto vendita sono stati acquistati 7 barattoli, nel secondo 3.

L’esperimento mostra il potere dell’ancoraggio. Un’ancora è un’informazione su cui si fa affidamento per prendere una #decisione. Il cervello degli acquirenti si è ancorato al limite di acquisto di 12. Coloro che hanno acquistato solo tre barattoli non avevano in mente il numero 12, quindi hanno fatto un acquisto ancorato verso il basso (allo zero).

Questo concetto è simile al modo in cui molti AD organizzano la loro strategia: aggiornandola annualmente sulla base dei presupposti dell’anno precedente, su cosa vale ancora e cosa no.

Al contrario, i migliori AD effettuano periodicamente analisi approfondite di tutti gli aspetti delle attività nello stesso modo in cui lo facevano quando si sono insediati, come se arrivassero dall’esterno con occhi nuovi. Non sono ancorati al passato, gravati da lealtà interne o disposti a piegarsi a pressioni a breve termine.

All’inizio degli anni ’80, quando i profitti di Intel crollarono da 198 milioni di dollari a 2 milioni l’anno successivo, l’allora presidente Andy Grove chiese a Gordon Moore, all’epoca CEO di Intel, che decisioni avrebbe preso un nuovo AD. Moore rispose che non si sarebbe più dedicato ai chip di memoria, ma avrebbe scommesso il proprio futuro su un nuovo prodotto: il microprocessore. E così fecero, contribuendo a inaugurare una serie di successi.

DEFINISCI la PROSSIMA CURVA a S in MODO COLLABORATIVO.

Visto che a nessuno piace il #cambiamento, si rende necessario creare un ritmo di cambiamento. E lo si può fare coinvolgendo le parti interessate.

Lo spiega bene l’ex CEO di Medtronic Bill George: “Le persone supportano ciò che aiutano a creare“. Ossia, non distruggono ciò che hanno costruito.

Per avere successo occorre adottare un approccio collaborativo nel definire la prossima curva a S. Nel 2015, Maurice Lévy, CEO di Publicis, si è reso conto che la sua strategia di crescita basata sulle acquisizioni si era conclusa. Era giunto il momento per un’altra curva a S. Anche se aveva una visione chiara di ciò che doveva essere fatto, ha coinvolto per diversi mesi, il suo team esecutivo e il livello dirigenziale, 300 leader veterani più 50 manager under 30 neo promossi, perchè comprendessero il punto di vista di Lévy e lo perfezionassero.

ORGANIZZAZIONI A PROVA DI FUTURO.

Quando le cose vanno bene, è difficile immaginare che possa incombere una #crisi. Sfortunatamente, non importa quanto bene sia gestita un’azienda, la domanda anche per i migliori AD non è se dovranno superare una crisi, ma quando.

Una crisi può nascere ovunque e in qualsiasi momento. E può porre fine al mandato altrimenti eccezionale di un CEO, o può essere abilmente sfruttata per spingere un’azienda a nuovi livelli di #prestazioni post-crisi.

Coloro che ottengono risultati positivi riconoscono che il momento migliore per prepararsi a una crisi non è il giorno della crisi e quindi sottopongono regolarmente a stress test la propria attività.

Un buon esercizio di stress test è quello a cui si sottopone Reed Hastings: “Sono trascorsi dieci anni e Netflix è un’azienda fallita. Stimiamo le probabilità delle diverse cause”. Hastings e il suo team esaminano l’elenco, valutando le rispettive probabilità. “A volte la discussione si sposta su cosa possiamo fare per alcuni di questi rischi, ma molte volte, solo definire quali rischi dobbiamo affrontare spingerà le persone ad adattare il comportamento in modi intelligenti che ci rendono più resilienti“.

Il segreto per gestire al meglio una crisi è riconoscere di essere in crisi.

Fonti

[1]  CEO Excellence: The Six Mindsets That Distinguish the Best Leaders from the Rest: Dewar, Carolyn, Keller, Scott, Malhotra, Vikram: 9781982179670: Amazon.com: Books


Dewar C., Keller S., Malhotra V., Strovink K., (2023) “Staying ahead: how the best CEOs continually improve performance”, McKinsey Quarterly.