NEUROGASTRONOMIA: è l’odore a farci percepire il gusto di ciò che mangiamo
Avete mai provato a bere un succo di frutta tappandovi il naso? Vi accorgerete che non sarete in grado di individuare il frutto da cui proviene.
Tendiamo a pensare che quando gustiamo qualcosa, il sapore lo avvertiamo grazie alle papille gustative presenti in bocca. In realtà, quel sapore, dipende per l’80 per cento dall’olfatto: quando mettiamo in bocca un alimento o una bevanda molte molecole presenti si staccano per raggiungere la cavità nasale, attivando i recettori olfattivi.
A definire il sapore di una pietanza è innanzitutto l’ambiente: ciò che vediamo, prima di mangiare qualcosa, attiva il nostro cervello preparandolo a determinati sapori.
«Chimicamente parlando – spiega Stuart Firestein della Columbia University – la molecola che ci fa percepire l’aroma del Parmigiano e l’odore del vomito è la stessa: si tratta dell’acido butirrico. Tuttavia, il cervello, interpretando la situazione che ha sotto gli occhi, attiverà un odore escludendo l’altro». Allo stesso modo di come avviene per le illusioni ottiche, il cervello può essere ingannato.
In un esperimento è stato chiesto a intenditori del vino e ad assaggiatori professionisti di analizzare vini bianchi di ottima qualità che però erano stati tinti, con coloranti, in modo da far loro assumere il colore di grandi rossi come Bordeaux, Barolo, Amarone. In quei bianchi gli assaggiatori avvertivano i profumi di frutti rossi o di spezie, tipici dei vini rossi.
E gli altri sensi? Concorrono in maniera fondamentale a formare, nel nostro cervello, il sapore. L’analisi l’ha condotta Gordon Shepherd, professore della Yale University, che ha creato anche un neologismo che ben traduce l’innovativa visione dello studioso: neurogastronomy, neurogastronomia. «Il tatto – dice Sheperd – ci permette di riconoscere la consistenza in bocca dei cibi. L’udito è fondamentale: provate a pensare di mangiare le patatine senza sentirne il suono croccante o la carne senza avvertire quel tipico rumore quando la mastichiamo». La parola, poi, è il mezzo che l’uomo ha per comunicare: in origine se un cibo era pericoloso o commestibile, oggi per condividere un sapore e la sua cultura. «Perché la gastronomia è un’esperienza unica, propria solo delle specie umana. Nessun altro essere vivente ha sviluppato un così complesso sistema in grado di riconoscere una simile varietà di sapori». Merito del nostro cervello, l’unico neurogastronomo.