In un supermercato americano il responsabile, per spingere i dipendenti a rispettare le disposizioni legate alla sicurezza, ha messo al collo, di coloro che venivano sorpresi a violare le procedure, un pollo di gomma, da indossare anche di fronte ai clienti. Per sbarazzarsi del pollo, lo sfortunato o poco attento mal capitato di turno, doveva scovare un altro collega che veniva meno alle regole. Puoi immaginare come sia andato a finire l’esperimento, con le persone che si rincorrevano fra le corsie del supermercato, alla ricerca della minima violazione pur di sbarazzarsi del pollo[1].
Quello di attaccare un pollo di gomma al collo non è sicuramente un buon modo per motivare le persone. Sebbene, fortunatamente, pochi ricorrano a questi bizzarri escamotage, non necessariamente promozioni, bonus, premi e discorsi di incoraggiamento danno risultati migliori. Secondo uno studio Gallup, il 60-80% dei lavoratori non è ingaggiato e motivato rispetto il lavoro che sta facendo. Sentono poca lealtà, passione o motivazione. Mettono il tempo, ma non lo utilizzano in modo produttivo e di certo non sono felici!
I QUATTRO TIPI DI MOTIVAZIONE
Quattro sono i tipi di motivazione:
- Intrinseca
- Estrinseca
- Positiva
- Negativa
La motivazione intrinseca si verifica quando agiamo senza il bisogno di ottenere ricompense esterne. Ci piace eseguire un’attività, un compito, ecc., o la vediamo come un’opportunità per esplorare, apprendere e agire i nostri potenziali. Quando siamo mossi da motivazione intrinseca, portiamo a termine i nostri compiti perché li troviamo intrinsecamente divertenti e interessanti: per rendere al meglio non abbiamo bisogno né di incentivi esterni, né di sentirci sotto pressione.
La motivazione estrinseca nasce dall’esterno, da qualcuno o qualcosa che ci spinge a fare o non fare qualcosa che non avremmo fatto di nostra iniziativa.
La motivazione positiva è un metodo di incoraggiamento basato sulla ricompensa, una spinta verso un obiettivo. Potrebbe essere un premio in denaro o il sorriso sul volto di un indigente. Indipendentemente dall’obiettivo o l’attività, l’aspettativa di qualsiasi forma di ricompensa è l’impulso della motivazione positiva.
La motivazione negativa è un metodo di potenziamento basato sulla punizione e dalla spinta ad allontanarsi da qualcosa che si vuole evitare.
La motivazione su cui occorre puntare è quella positiva intrinseca. Vediamo perché le altre non hanno la stessa efficacia.
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PERCHE’ LA MOTIVAZIONE ESTRINSECA NON FUNZIONA
In laboratorio, per spingere i topi a fare qualcosa, viene dato loro del cibo. In classe gli studenti migliori ottengono voti alti, e in fabbrica o in ufficio i lavoratori che raggiungono gli obiettivi meglio e/o prima di altri, ottengono aumenti e avanzamenti di carriera. Siamo spinti a credere che le ricompense promuovono prestazioni migliori[2]. Ma un numero crescente di ricerche suggerisce che non è così… (non da sola). Se una ricompensa – denaro, premi, lodi o vincere una gara – viene vista come la ragione per cui si sta intraprendendo un’attività, quella l’attività sarà considerata di per sé meno piacevole[3].
La motivazione estrinseca ha alcuni seri inconvenienti:
- Non è sostenibile. Non appena ritiri la punizione o la ricompensa, la motivazione scompare.
- Ottieni rendimenti decrescenti. Se la punizione o le ricompense rimangono agli stessi livelli, la motivazione diminuisce lentamente. Ottenere la stessa motivazione la prossima volta richiede una ricompensa più grande.
- Fa male alla motivazione intrinseca. Punire o premiare le persone per aver fatto qualcosa rimuove il loro desiderio innato di farlo da soli. E per convincere i collaboratori a fare o non fare qualcosa, ogni volta si è costretti a punirli/ricompensarli.
In un esperimento, a dei bambini sono stati dati punti per ogni libro preso in prestito dalla biblioteca durante le vacanze estive. I punti potevano essere riscattati per avere in cambio una pizza in omaggio, questo nel tentativo di incoraggiare i piccoli, alla lettura. Alla fine, i bambini hanno effettivamente letto più libri degli altri compagni che non sono stati premiati con una pizza. Ma quando la lettura non è più stata ripagata con la pizza, quei bambini leggevano molti meno libri degli altri loro coetanei. Il desiderio intrinseco di leggere libri era stato sostituito dalla ricompensa estrinseca, e la motivazione se n’è andata con la pizza.
PERCHE’ LA MOTIVAZIONE NEGATIVA NON FUNZIONA
I cardiopatici che hanno subito operazioni di bypass devono fare una scelta molto semplice: smettere di mangiare grasso, fumare, bere e lavorare troppo o questo può essere letale. Indovina quanti riescono effettivamente a cambiare stile di vita in modo sostenibile? A distanza di due anni dall’operazione, quanti di questi cardiopatici sono riusciti a mantenere le loro nuove abitudini?
10%. 9 su 10 non sono stati in grado di apportare semplici cambiamenti allo stile di vita, nonostante questo fosse vitale per loro.
Possiamo quindi dire che la motivazione negativa non funziona (almeno nel medio/lungo periodo).
Dean Ornish ha creato un programma in cui ai malati di cuore veniva insegnato ad apprezzare la vita (piuttosto che a temere la morte). Praticavano yoga, meditavano, ricevevano consulenze antistress e seguivano una dieta sana. Il risultato: 2 anni dopo, il 70% dei pazienti ha mantenuto il nuovo stile di vita. Quando nemmeno la paura della morte può far cambiare lo stile di vita in modo sostenibile, diventa chiaro che la motivazione basata sull’evitare qualcosa non è efficace quanto la motivazione basata sul raggiungimento di qualcosa. Almeno non nel medio/lungo termine. Nel breve periodo, la motivazione negativa può essere uno stimolo all’azione, ma si esaurisce in fretta poichè è fisicamente e psicologicamente poco sostenibile.
COSA FUNZIONA?
Ci comportiamo come se le persone non fossero intrinsecamente motivate, e vadano a lavorare ogni giorno aspettando che qualcun altro accenda il fuoco per loro. Questa convinzione è piuttosto comune. È giusto e umano che i manager si preoccupino della motivazione e del morale delle loro persone, è solo che non ne sono la causa[4].
Quindi il manager anziché essere la fonte della motivazione, deve aiutare i dipendenti a trovare la propria motivazione intrinseca.
Il leader non è colui che motiva, il vero leader è colui che aiuta i collaboratori a trovare il loro perchè in ciò che fanno.
Cosa migliora la motivazione intrinseca?
- Sfida: essere in grado di sfidare te stesso e portare a termine nuovi compiti.
- Controllo: avere la possibilità di scegliere cosa fare.
- Cooperazione: essere in grado di lavorare e aiutare gli altri.
- Riconoscimento: ottenere un riconoscimento significativo e positivo per il tuo lavoro.
- Felicità sul lavoro: le persone a cui piace il proprio lavoro e il proprio posto di lavoro hanno molte più probabilità di trovare una motivazione intrinseca.
- Fiducia: quando ti fidi delle persone con cui lavori, la motivazione intrinseca è molto più forte.
Ciò che va fatto è spingere i collaboratori a scoprire il loro personale purpose, e sviluppare abilità sul lavoro. Crea un ambiente di lavoro felice, positivo e le persone saranno naturalmente motivate. Ancora meglio: motivano sé stessi e gli altri, alimentando un circolo virtuoso. Questo sicuramente batte, nel medio-lungo termine, punizioni e ricompense.
Fonti
[1] workingamerica.com’s MyBadBoss contest
[2] http://naggum.no/motivation.html
[3] https://www.alfiekohn.org/
[4] Koestenbaum P., Block P., Freedom and accountability at work: applying philosophic insight to the real world, 2001.
Nudge Revolution sulla rivista il Libraio
Nudge Revolution. La strategia per rendere semplici scelte complesse è su Il Libraio
https://lnkd.in/eBaWeEx
I Nudge e il Change Managent sbarcano sulla rivista Idea
Perché nell’esercito vengono date medaglie alle persone che si sacrificano per il bene degli altri e nelle aziende, vengono dati bonus alle persone che sono disposte a sacrificare gli altri per trarre vantaggio?
E’ la riflessione su cui ho costruito l’intervento e i lavori di gruppo, nella splendida cornice di Langa, per Alba 90 i Tuoi Assicuratori e il gruppo #Allianz.
9 Dicembre ’21 – Come semplificare decisioni complesse con i Nudge – YWN Italia
Webinar “Come semplificare decisioni complesse con i Nudge” organizzato da Young Women Network
QUATTRO CONSIGLI per MEGLIO GESTIRE i CONFLITTI sul LAVORO
Non è sempre facile mantenere la calma di fronte a un collega che con sguardo accigliato, le braccia incrociate e una richiesta perentoria, entra con violenza nel nostro ufficio. Eppure essere in grado di calmare la situazione e gestire il conflitto può fare la differenza. In termini di performance ma soprattutto di benessere. Anche perchè un luogo di lavoro privo di conflitti non esiste. Per fortuna. Il confronto e talvolta anche lo scontro, se finalizzati, possono essere un modo per migliorare e crescere.
Occupandomi di emozioni, decisioni e comportamenti sono spesso chiamata a risolvere conflitti interni ai team e attraverso microinterventi aiuto le persone a gestire situazioni stressanti e complesse.
Ecco riassunte quattro strategie scientificamente supportate che possono tornare utili.
ASCOLTA
Chi è arrabbiato, di solito, ha un problema che deve risolvere. La cosa migliore da fare è ascoltare attentamente e cercare di comprendere la situazione, lasciando pregiudizi e giudizi al di fuori del contesto. Anche se ti rendi conto che non è un problema che si può risolvere sull’immediato, ascoltare è il modo migliore per andare avanti.
Le persone si sfogano perché vogliono sentirsi ascoltate o perché cercano empatia. In uno studio che ha analizzato la rabbia dei clienti nei confronti di alcuni prodotti, la semplice ricezione di una risposta da parte della azienda in questione, anche se non risolveva il problema, aumentava la fedeltà del cliente al brand[1]. Questo vale anche per te. Resisti alla tentazione di intervenire, alzare i toni o avviare un dibattito e fai del tuo meglio per essere presente. Nella maggior parte dei casi, il contenuto della tua risposta è meno importante del tuo semplice ascolto.
RICONOSCI COME SI SENTE L’ALTRA PERSONA
Per aiutare l’altro a sentirsi ascoltato, fai capire di aver compreso il suo punto di vista. Usa un linguaggio che rifletta ciò che ti è stato detto e fai attenzione a non minimizzare le emozioni. Sottovalutare i sentimenti è molto più costoso che sopravvalutarli[2].
Se il tuo collega è turbato, non dire: “Capisco che ti senti a disagio“. È meglio esagerare: “Capisco che sei devastato“.
Se anche tu sei contrariato per il problema in questione, riconosci apertamente i tuoi sentimenti: “Capisco perfettamente che sei arrabbiato. Sono ugualmente frustrato e condivido la tua preoccupazione“. Sopprimere le emozioni non aiuta: quando cerchiamo di nascondere come ci sentiamo, gli altri lo percepiscono e il rischio è che si sentiranno meno a loro agio con noi[3].
CONCENTRATI SUI FATTI
Anziché soccombere in pensieri negativi o sentirti in colpa (“Sono un collega orribile, ho commesso un errore enorme e questo ha fatto arrabbiare il collega”) prova a mappare i suoi sentimenti. Cerca di capire perché è frustato, adirato, ecc. C’è qualcosa che puoi fare per cambiare la situazione?
Focalizza quindi la tua attenzione sul bisogno che sta dietro le emozioni. Questo ti permetterà di essere più obiettivo e distaccato dalla situazione e proteggere[4] il tuo benessere emotivo.
Ciò che devi tenere a mente è di non prendere sul personale i commenti pungenti. È probabile che la persona si stia semplicemente sfogando e non pensi assolutamente ciò che sta dicendo preso dalla foga del momento.
IMPARA DALL’ESPERIENZA E POI VAI OLTRE
Una volta compreso il problema, pensa a come potresti risolverlo. O, se ti rendi conto che hai commesso un errore, chiedi scusa in modo semplice e diretto.
Quando sarai da solo, prenditi qualche minuto per scrivere ogni feedback ricevuto o le lezioni che hai imparato in quel contesto. Può essere difficile elaborare un feedback critico nel momento in cui le emozioni sono alle stelle, quindi impegnati a rivisitare gli appunti a distanza di qualche giorno[5].
Una volta che hai risolto il problema, volta pagina. Tornare sull’argomento e sulla lite può portarti a rimuginare e a nuovi scontri con quegli stessi colleghi proprio a causa delle parole che sono seguite nel momento di crisi.
FONTI
[1] https://hbr.org/2018/01/how-customer-service-can-turn-angry-customers-into-loyal-ones
[2] Klein N., Better to overestimate than to underestimate others’ feelings: Asymmetric cost of errors in affective perspective-taking, Organizational Behavior and Human Decision Processes, Vol 151, 2019: 1-15.
[3] Butler E.A., Egloff B., Wilhelm F.H., Smith N.C., Erickson E.A., Gross J.J. The social consequences of expressive suppression. Emotion. 2003 Mar;3(1):48-67.
[4] Shiota M.N., Levenson R.W., Turn down the volume or change the channel? Emotional effects of detached versus positive reappraisal. J Pers Soc Psychol. 2012;103(3):416-429.
[5] Fredrickson B.L., Branigan C., Positive emotions broaden the scope of attention and thought-action repertoires. Cogn Emot. 2005;19(3):313-332.
2 Dicembre ’21 – I Nudge entrano in Camera di Commercio – Cuneo
Presentazione del libro presso la Camera di Commercio di Cuneo, per il Comitato dell’Imprenditoria Femminile
Evento in presenza & online
Giovedì 2 dicembre 2021 – alle ore 18
FALSO MITO: NON è il LEADER a DOVER MOTIVARE i COLLABORATORI (piuttosto aiutarli a trovare il perchè in ciò che fanno!)
In un supermercato americano il responsabile, per spingere i dipendenti a rispettare le disposizioni legate alla sicurezza, ha messo al collo, di coloro che venivano sorpresi a violare le procedure, un pollo di gomma, da indossare anche di fronte ai clienti. Per sbarazzarsi del pollo, lo sfortunato o poco attento mal capitato di turno, doveva scovare un altro collega che veniva meno alle regole. Puoi immaginare come sia andato a finire l’esperimento, con le persone che si rincorrevano fra le corsie del supermercato, alla ricerca della minima violazione pur di sbarazzarsi del pollo[1].
Quello di attaccare un pollo di gomma al collo non è sicuramente un buon modo per motivare le persone. Sebbene, fortunatamente, pochi ricorrano a questi bizzarri escamotage, non necessariamente promozioni, bonus, premi e discorsi di incoraggiamento danno risultati migliori. Secondo uno studio Gallup, il 60-80% dei lavoratori non è ingaggiato e motivato rispetto il lavoro che sta facendo. Sentono poca lealtà, passione o motivazione. Mettono il tempo, ma non lo utilizzano in modo produttivo e di certo non sono felici!
I QUATTRO TIPI DI MOTIVAZIONE
Quattro sono i tipi di motivazione:
La motivazione intrinseca si verifica quando agiamo senza il bisogno di ottenere ricompense esterne. Ci piace eseguire un’attività, un compito, ecc., o la vediamo come un’opportunità per esplorare, apprendere e agire i nostri potenziali. Quando siamo mossi da motivazione intrinseca, portiamo a termine i nostri compiti perché li troviamo intrinsecamente divertenti e interessanti: per rendere al meglio non abbiamo bisogno né di incentivi esterni, né di sentirci sotto pressione.
La motivazione estrinseca nasce dall’esterno, da qualcuno o qualcosa che ci spinge a fare o non fare qualcosa che non avremmo fatto di nostra iniziativa.
La motivazione positiva è un metodo di incoraggiamento basato sulla ricompensa, una spinta verso un obiettivo. Potrebbe essere un premio in denaro o il sorriso sul volto di un indigente. Indipendentemente dall’obiettivo o l’attività, l’aspettativa di qualsiasi forma di ricompensa è l’impulso della motivazione positiva.
La motivazione negativa è un metodo di potenziamento basato sulla punizione e dalla spinta ad allontanarsi da qualcosa che si vuole evitare.
La motivazione su cui occorre puntare è quella positiva intrinseca. Vediamo perché le altre non hanno la stessa efficacia.
PERCHE’ LA MOTIVAZIONE ESTRINSECA NON FUNZIONA
In laboratorio, per spingere i topi a fare qualcosa, viene dato loro del cibo. In classe gli studenti migliori ottengono voti alti, e in fabbrica o in ufficio i lavoratori che raggiungono gli obiettivi meglio e/o prima di altri, ottengono aumenti e avanzamenti di carriera. Siamo spinti a credere che le ricompense promuovono prestazioni migliori[2]. Ma un numero crescente di ricerche suggerisce che non è così… (non da sola). Se una ricompensa – denaro, premi, lodi o vincere una gara – viene vista come la ragione per cui si sta intraprendendo un’attività, quella l’attività sarà considerata di per sé meno piacevole[3].
La motivazione estrinseca ha alcuni seri inconvenienti:
In un esperimento, a dei bambini sono stati dati punti per ogni libro preso in prestito dalla biblioteca durante le vacanze estive. I punti potevano essere riscattati per avere in cambio una pizza in omaggio, questo nel tentativo di incoraggiare i piccoli, alla lettura. Alla fine, i bambini hanno effettivamente letto più libri degli altri compagni che non sono stati premiati con una pizza. Ma quando la lettura non è più stata ripagata con la pizza, quei bambini leggevano molti meno libri degli altri loro coetanei. Il desiderio intrinseco di leggere libri era stato sostituito dalla ricompensa estrinseca, e la motivazione se n’è andata con la pizza.
PERCHE’ LA MOTIVAZIONE NEGATIVA NON FUNZIONA
I cardiopatici che hanno subito operazioni di bypass devono fare una scelta molto semplice: smettere di mangiare grasso, fumare, bere e lavorare troppo o questo può essere letale. Indovina quanti riescono effettivamente a cambiare stile di vita in modo sostenibile? A distanza di due anni dall’operazione, quanti di questi cardiopatici sono riusciti a mantenere le loro nuove abitudini?
10%. 9 su 10 non sono stati in grado di apportare semplici cambiamenti allo stile di vita, nonostante questo fosse vitale per loro.
Possiamo quindi dire che la motivazione negativa non funziona (almeno nel medio/lungo periodo).
Dean Ornish ha creato un programma in cui ai malati di cuore veniva insegnato ad apprezzare la vita (piuttosto che a temere la morte). Praticavano yoga, meditavano, ricevevano consulenze antistress e seguivano una dieta sana. Il risultato: 2 anni dopo, il 70% dei pazienti ha mantenuto il nuovo stile di vita. Quando nemmeno la paura della morte può far cambiare lo stile di vita in modo sostenibile, diventa chiaro che la motivazione basata sull’evitare qualcosa non è efficace quanto la motivazione basata sul raggiungimento di qualcosa. Almeno non nel medio/lungo termine. Nel breve periodo, la motivazione negativa può essere uno stimolo all’azione, ma si esaurisce in fretta poichè è fisicamente e psicologicamente poco sostenibile.
COSA FUNZIONA?
Ci comportiamo come se le persone non fossero intrinsecamente motivate, e vadano a lavorare ogni giorno aspettando che qualcun altro accenda il fuoco per loro. Questa convinzione è piuttosto comune. È giusto e umano che i manager si preoccupino della motivazione e del morale delle loro persone, è solo che non ne sono la causa[4].
Quindi il manager anziché essere la fonte della motivazione, deve aiutare i dipendenti a trovare la propria motivazione intrinseca.
Il leader non è colui che motiva, il vero leader è colui che aiuta i collaboratori a trovare il loro perchè in ciò che fanno.
Cosa migliora la motivazione intrinseca?
Ciò che va fatto è spingere i collaboratori a scoprire il loro personale purpose, e sviluppare abilità sul lavoro. Crea un ambiente di lavoro felice, positivo e le persone saranno naturalmente motivate. Ancora meglio: motivano sé stessi e gli altri, alimentando un circolo virtuoso. Questo sicuramente batte, nel medio-lungo termine, punizioni e ricompense.
Fonti
[1] workingamerica.com’s MyBadBoss contest
[2] http://naggum.no/motivation.html
[3] https://www.alfiekohn.org/
[4] Koestenbaum P., Block P., Freedom and accountability at work: applying philosophic insight to the real world, 2001.
NON mi PIACE più questo LAVORO, ma LASCIARLO SAREBBE un FALLIMENTO. 5 MITI da SFATARE
“Sono infelice. Il lavoro ha smesso di entusiasmarmi e non trovo più il perché nella maggior parte delle attività che svolgo. Voglio andarmene ma ogni volta che ne parlo in famiglia, ottengo le stesse reazioni: sei sicuro che sia la cosa giusta da fare? Tanti invidiano la tua posizione, o guadagnano meno di te. Non puoi essere così sprovveduto”.
Talvolta, quando opero progetti di change management incontro manager che in quello specifico contesto lavorativo non stanno bene, ma hanno paura a guardarsi intorno: “dopo la fatica che ho fatto per ottenere quest’incarico, tutti questi anni nella stessa azienda, andarmene sarebbe fallimento”.
Lasciare un posto solido e ben retribuito ma che non motiva più, non è una decisione facile da prendere. Ci sono molte variabili che occorre analizzare e ponderare. Spesso però a rendere la scelta più complessa, non sono tanto le incertezze legate al cambiamento, ma alcuni pregiudizi che ci incollano allo status quo.
Ecco 5 miti da cui guardarsi.
Mito N. 5. Lasciare = fallire
Alcune di queste frasi ti suonano familiari? Come alcuni bias insegnano, una volta che hai iniziato qualcosa non dovresti mai smettere fino a che non lo hai concluso, e se lo fai è un chiaro segno di fallimento. Ma se quella cosa non potesse mai dirsi conclusa… magari fino alla pensione?
A volte cambiare è esattamente la cosa giusta da fare.
Da bambina Tina Kiberg era una violinista di belle speranze che passava il tempo libero a esercitarsi. Un giorno, partecipando a un concorso, si rese conto che non sarebbe mai stata più che una violista mediocre. Però le piaceva cantare. Così abbandonò il violino e iniziò a cantare. E’ diventata una cantante d’opera internazionale di altissimo livello.
Prova a indovinare cosa hanno in comune Larry Page, Sergey Brin, Tiger Woods, Reese Witherspoon, John McEnroe e John Steinbeck? Hanno tutte lasciato Stanford.
Mito n. 4. È l’opzione più facile
Alcune persone vedono il cambiamento come un segno di debolezza.
Cambiare richiede coraggio. Lasciare un posto di lavoro tossico o allontanarsi da un capo incompetente o da un’attività che non regala soddisfazioni, può essere una scelta dolorosa e con strascichi emotivi non indifferenti. Sicuramente è tutt’altro che facile e comodo.
Mito n. 3. È un comportamento egoista
Se non ti piace il lavoro, non stai facendo un favore a nessuno rimanendo. Quando si è infelici, si tende a contagiare tutti coloro che stanno intorno. Per quanto riguarda la famiglia, forse sarebbero più contenti se non tornassi a casa ogni giorno stanco e frustrato.
Se vai al lavoro giorno dopo giorno, anno dopo anno, e odi davvero il tuo lavoro e torni a casa arrabbiato, cosa stai insegnando ai tuoi figli?
Mito n. 2. È rischioso per la carriera
Mentre rimanere per anni in un luogo di lavoro che odi e che ti sta lentamente logorando sarà FANTASTICO per la tua carriera! Più a lungo rimani, più perdi energia, motivazione e fiducia in te stesso di cui hai bisogno per avanzare nella carriera.
Mito n. 1. È l’ultima risorsa
Per le persone che credono a questo mito, smettere è l’ultima opzione. È quello che fai una volta che sei distrutto ed esausto per continuare a svolgere il tuo lavoro attuale. Ciò lo rende il più pericoloso dei miti qui elencati, perché significa che le persone rimangono in lavori scadenti fino a (o oltre) i loro punti di rottura. Talvolta però è troppo tardi.
La tua opinione
Ci sono altri miti che ti vengono in mente? Hai incontrato qualcuno di questi nella tua vita lavorativa? Come reagisci quando qualcuno vicino a te valuta la possibilità di cambiare lavoro?
3 TIPI di RESISTENZA al CAMBIAMENTO (in azienda) e COME SUPERARLI
Solo il 30% dei progetti di change management va a buon fine, 1 su tre.
La causa? La resistenza al cambiamento. Non la mancanza di competenze o risorse tecniche, ma a causa di una reazione umana.
Cosa crea resistenza al cambiamento
La resistenza è negli occhi di chi guarda. Le persone che resistono non vedono quello che fanno, spesso è più un atto di sopravvivenza.
La resistenza al cambiamento è una reazione al modo in cui viene condotto un cambiamento. Le persone resistono in risposta a qualcosa.
La resistenza serve a proteggere le persone. Se sono uno sciatore alle prime armi, è la resistenza a impedirmi di prendere la seggiovia per raggiungere la cima di una pista nera.
In un’organizzazione, la resistenza impedisce di dire “sì” a un incarico che penso metterà a rischio la mia carriera.
Quanto meglio riusciamo a vedere cosa causa resistenza, tanto più facile sarà creare le giuste condizioni per abbracciare il cambiamento. In altre parole, se comprendiamo la resistenza, comprendiamo anche l’altra faccia della medaglia: la spinta al cambiamento.
Tre sono i livelli di resistenza
1 – Non capisco
Riguarda le informazioni: fatti, cifre, idee. È il mondo del pensiero e dell’azione razionale. È il mondo delle presentazioni, dei diagrammi e degli argomenti logici.
Il livello 1 deriva da:
Molti commettono l’errore di trattare tutte le resistenze come se fossero di Livello 1. I leader danno alle persone più informazioni – tengono più riunioni e fanno più presentazioni PowerPoint – quando, in realtà, sarebbe necessario qualcosa di completamente diverso. Ed è qui che entrano in gioco i livelli 2 e 3.
2 – Non mi piace
Il livello 2 è una reazione emotiva al cambiamento. La pressione sanguigna aumenta, l’adrenalina scorre, il cuore accelera. Si basa sulla paura: le persone hanno paura che questo cambiamento faccia perdere loro lo status, il controllo, forse anche il lavoro. Come ben esplicitato nel film Governance, che ha anche ispirato questo post.
Il livello 2 non è facile da gestire. Non basta dire “stai tranquillo” e aspettarti che il soggetto reagisca di conseguenza. Qui è in gioco la nostra stessa sopravvivenza.
Quando il Livello 2 è attivo, rende molto difficile comunicare il cambiamento. Quando l’adrenalina è in circolo, passiamo alla modalità di combattimento o fuga (o rimaniamo immobilizzati, come un cervo sotto i fari in mezzo a una strada la notte). E smettiamo di ascoltare. Quindi, non importa quanto sia eccezionale la tua presentazione, una volta che si è attivato il livello 2, la risposta è incontrollabile. A questo punto le persone non scelgono di ignorarti, è solo che hanno cose più importanti per la testa, come pensare alla loro sopravvivenza.
Le organizzazioni di solito non incoraggiano le persone a rispondere emotivamente; quindi, i dipendenti limitano domande e commenti ai problemi di Livello 1. Fanno domande educate su budget e tempistiche. Quindi può sembrare che siano con te, ma non lo sono. Fanno domande di livello 1 sperando che tu legga tra le righe e parli delle loro paure. E qui c’è una cosa difficile che va tenuta in considerazione: potrebbero non essere consapevoli di operare a un livello emotivo così elementare.
3 – Non mi piaci
Forse gli piaci, ma non si fidano di te o non hanno fiducia nella tua leadership.
La mancanza di attenzione a livello 3, è una delle ragioni principali per cui la resistenza aumenta e i cambiamenti falliscono. E se ne parla raramente. I libri sul cambiamento parlano di strategie e piani ma la maggior parte di questi consigli non riesce a riconoscere una delle ragioni principali per cui il cambiamento fallisce.
Nella resistenza di livello 3, le persone non stanno resistendo all’idea – in effetti, potrebbero amare il cambiamento che stai presentando – ti stanno resistendo. Forse sei tu che le rendi diffidenti, per decisioni prese in passato, magari.
Qualunque siano le ragioni di questa resistenza profondamente radicata, non puoi permetterti di ignorarla.
Le persone possono capire l’idea che stai suggerendo (Livello 1) e possono anche pensare che questo cambiamento possa essere utile (Livello 2), ma non diventeranno cooperative se non si fidano di te.
Come trasformare la resistenza in supporto
Ecco alcune idee per iniziare ad affrontare i vari livelli di resistenza. Ps. Tieni conto che tutti e tre i livelli potrebbero agire contemporaneamente.
Livello 1 – Crea il tuo caso
Livello 2 – Sottolinea gli aspetti positivi
Livello 3 – Sii responsabile
Lo statista israeliano Abba Eban ha scritto:
Quindi non demordere…
RISOLVERE PROBLEMI in TEMPI INCERTI e CONDIZIONI IMPERFETTE
Prendere buone decisioni non è una abilità innata. Si può allenare e migliorare.
Ecco 5 approcci che possono rivelarsi molto utili.
1. Sii curioso
Di fronte all’incertezza, non stancarti di chiedere “Perché?”
Sfortunatamente, crescendo, tendiamo a smettere di fare domande. Il cervello dà un senso a un numero enorme di informazioni imponendo modelli che si sono dimostrati utili in passato. Ecco perché è utile fare una pausa e chiedersi:
Questo fino a quando non si arriva alla radice del problema.
I bias, tra cui conferma, disponibilità e ancoraggio, spesso portano a restringere anzitempo la gamma di soluzioni. Eppure le risposte migliori derivano dall’essere curiosi.
Un suggerimento arriva dell’economista Caroline Webb: mettere un punto interrogativo dopo le ipotesi iniziali tende a incoraggiare più percorsi di soluzione e pone l’accento, correttamente, sulla raccolta dei dati.
Utili sono anche le sessioni di tesi/antitesi, in cui un gruppo viene diviso in squadre avversarie che mettono in dubbio le conclusioni iniziali. I risultati migliori derivano dall’accettazione dell’incertezza. La curiosità è il motore della creatività.
2. Tollera l’ambiguità e rimani umile!
Spesso, quando pensiamo ai bravi decisori, tendiamo a immaginarli perfettamente razionali, quasi matematici. La realtà è che la maggior parte delle buone decisioni prevede molti tentativi e altrettanti errori; è più simile all’apparente casualità del rugby che alla precisione di un programmatore.
Le ipotesi basate sull’istinto possono essere sbagliate. Ecco perché una delle chiavi per operare in ambienti incerti è l’umiltà epistemica che Erik Angner definisce come:
Inizia con soluzioni sfidanti che implicano certezza. Puoi farlo nel modo migliore ponendo domande come:
Ciò rende più facile valutare le alternative. Quando l’incertezza è alta, vedi se puoi fare piccole mosse o acquisire informazioni a un costo ragionevole per arrivare a un insieme di soluzioni. La conoscenza perfetta scarseggia, in particolare per problemi aziendali e sociali complessi. Abbracciare l’imperfezione può portare a una risoluzione dei problemi più efficace. È praticamente un must in situazioni di elevata incertezza, come l’inizio di un processo di problem solving o durante un’emergenza.
3. Apri la visione
Le libellule hanno una visione quasi a 360 gradi, con un solo punto cieco dietro la testa. Questa straordinaria visione è una delle ragioni per cui è in grado di tenere d’occhio un singolo insetto all’interno di uno sciame e inseguirlo evitando collisioni a mezz’aria con altri insetti dello sciame.
L’idea di un occhio che cattura 360 gradi di percezione è un attributo dei “superprevisori”: i migliori nella previsione degli eventi.
Pensa a questo come ad allargare l’apertura su un problema o guardarlo attraverso diverse angolature. Allargando l’apertura, possiamo identificare minacce o opportunità diversamente impensabili. Il segreto per sviluppare una visione tipica delle libellule è “ancorarsi all’esterno” quando si affrontano problemi di incertezza e opportunità. Allarga più che puoi il contesto. Ma prendi nota: quando tempi e risorse sono limitate, si potrebbe essere tentati di restringere oltre modo il campo e fornire una risposta convenzionale.
4. Sfrutta l’intelligenza collettiva e la saggezza della folla
E’ il consiglio di Chris Bradley.
Quando Sir Rod Carnegie era CEO di Conzinc Riotinto Australia (CRA), era preoccupato per i costi dei tempi di stop imprevisti degli autocarri pesanti, in particolare quelli che richiedevano il cambio dei pneumatici. Ha chiesto al team chi era il migliore al mondo a cambiare le gomme; la risposta è stata la Formula Uno, la competizione automobilistica. Un team si è recato nel Regno Unito per apprendere le migliori pratiche per il cambio degli pneumatici nei box della pista e poi ha implementato ciò che ha appreso a migliaia di chilometri di distanza, nella regione di Pilbara, nell’Australia occidentale. La squadra più intelligente per questo problema non era affatto nel settore minerario. Non era sul posto, ma non ce ne sarebbe comunque stato bisogno.
5. Mostra e racconta perché la narrazione genera azione
I risolutori di problemi con poca esperienza tendono a mostrare il loro processo in modo analitico per convincerti dell’intelligenza della loro soluzione. I risolutori di problemi esperti raccontano il modo in cui collegano il pubblico al problema e poi usano combinazioni di logica e persuasione per ottenere l’azione.
Un team della Nature Conservancy, stava presentando una proposta per chiedere a una fondazione filantropica di sostenere il ripristino delle barriere coralline e la salvaguardia delle ostriche. Prima della presentazione, il team ha portato 17 secchi pieni d’acqua nella sala riunione. Quando i membri della fondazione sono entrati nella stanza, hanno subito voluto sapere a cosa servivano i secchi. Il team ha spiegato che il ripristino delle barriere migliora notevolmente la qualità dell’acqua perché ogni ostrica filtra 17 secchi d’acqua al giorno. Le ostriche possono aiutare a far funzionare l’economia. I decisori sono stati portati nella risoluzione dei problemi attraverso lo spettacolo e il racconto.
Il problem solving più elegante è quello che rende ovvia la soluzione. Il compianto economista Herb Simon l’ha messa in questo modo:
Inizia con l’essere chiaro sull’azione che dovrebbe scaturire dalla risoluzione dei problemi e dai risultati: l’idea guida per il cambiamento. Quindi trova un modo per presentare visivamente la tua logica in modo che il percorso verso le risposte possa essere discusso e abbracciato. Presenta l’argomento in modo emotivo e logico e mostra perché l’azione preferita offre un interessante equilibrio tra rischi e benefici. Ma non fermarti qui. Spiega i rischi dell’inazione, che spesso hanno un costo maggiore rispetto alle azioni imperfette.
Questi approcci possono essere utili in un’ampia gamma di circostanze, ma in tempi di grande incertezza sono essenziali.
Ora tocca a te…
Fonti
Angner E., “Epistemic humility—knowing your limits in a pandemic,” Behavioral Scientist, April 13, 2020, behavioralscientist.org.
Duke A., Thinking in Terms of Bets: Making Smarter Decisions When You Don’t Have All the Facts, New York, NY: Portfolio/Penguin, 2018.
Tetlock P., Gardner D., Superforecasting: The Art and Science of Prediction, New York, NY: Crown, 2015.
Bradley C., Hirt M., Smit S., Strategy Beyond the Hockey Stick: People, Probabilities, and Big Moves to Beat the Odds, Hoboken, NJ: Wiley, 2018.
Bradley C, McLean R., “Want better strategies? Become a bulletproof problem solver,” August 2019.
Simon H., The Sciences of the Artificial, Cambridge, MA: MIT Press, 1969.
5 REGOLE per EVITARE DECISIONI SBAGLIATE ( a volte il successo consiste solo nel non fallire)
Una parte del mio lavoro consiste nell’aiutare le persone a prendere decisioni migliori.
Talvolta, per quanto non ci piaccia ammetterlo, il successo sta nell’evitare di prendere decisioni sbagliate.
Ecco cinque motivi per cui prendiamo decisioni sbagliate.
Siamo involontariamente stupidi
Ci piace pensare di poter elaborare razionalmente le informazioni come computer, ma non siamo in grado di farlo. Almeno non nel lungo periodo e non in presenza di grandi quantità di dati. I bias cognitivi spiegano perché abbiamo preso una decisione sbagliata, ma raramente ci aiutano a evitarli o prevenirli.
Sull’immediato è più utile concentrarsi su alcuni segnali che ci stanno avvertendo che stiamo per fare, involontariamente, qualcosa di stupido:
La regola: non prendere mai decisioni importanti quando sei stanco, emotivo, distratto o di fretta.
Risolviamo il problema sbagliato
Chi butta sul lavoro un problema, raramente ha chiaro il problema. Eppure il modo in cui lo pone può condizionare la capacità di problem solving del gruppo, senza contare che sovente dimentica di chiedere se si sta risolvendo il problema giusto.
Segnali di avvertimento che si sta risolvendo il problema sbagliato:
La regola: non permettere mai a nessuno di definire il problema per te.
Usiamo informazioni errate o insufficienti
Ci piace credere che le persone dicano la verità. Ci piace credere che le persone con cui parliamo capiscano di cosa stanno parlando. Ci piace credere di avere le informazioni utili per contestualizzare e gestire il problema.
Segnali di avvertimento che hai informazioni errate o insufficienti:
La regola: cerca informazioni da qualcuno il più vicino possibile alla fonte. Quando le informazioni vengono filtrate (e spesso accade), prima si considerano gli incentivi e solo dopo si pensa alla correttezza delle informazioni acquisite.
Non impariamo
Hai presente il collega con vent’anni di esperienza che continua a ripetere sempre gli stessi errori? Non ha vent’anni di esperienza, ha un anno di esperienza ripetuto venti volte. Se non puoi imparare, non puoi migliorare.
La maggior parte di noi può osservare e reagire di conseguenza. Ma per imparare dall’esperienza, dobbiamo riflettere sulle nostre reazioni. La riflessione deve essere parte del tuo processo, non qualcosa che potresti fare se hai tempo. In breve, non possiamo imparare dall’esperienza senza riflettere. Solo la riflessione ci permette di distillare l’esperienza in qualcosa da cui possiamo imparare per prendere decisioni migliori in futuro.
Segnali di avvertimento che non stai imparando:
La regola: essere meno occupati. Tieni un diario di apprendimento. Rifletti ogni giorno.
Ci concentriamo poco sui risultati
Siamo portati a fare ciò che è facile rispetto a ciò che è giusto. Dopotutto, è più facile dire di essere virtuosi che esserlo.
Segnali di avvertimento:
La regola: agisci come vorresti che un dipendente agisse se fossi il proprietario dell’azienda.
Evitare decisioni sbagliate è importante quanto prenderne di buone. Conoscere i segnali di pericolo e avere una serie di regole limita la quantità di fortuna di cui hai bisogno per ottenere buoni risultati.