Abbiamo tutti dei segreti.
Potrebbe essere quello di sapere che la promozione promessa a un collaboratore sarà disattesa; il trasferimento in un altro dipartimento non sarà bloccato, il tempo determinato non sarà rinnovato, e via dicendo.
Qualunque sia la decisione, prima di poterla comunicare talvolta occorre tenerla segreta, autocensurarsi, far buon viso a cattivo gioco, adattarsi… E non tutti riescono ad accettarlo.
D’altra parte però, decenni di studi scientifici, dimostrano che spesso preferiamo non smascherarli i segreti, perché incrinerebbero (finchè durano) il nostro bisogno di falso controllo. Fintanto che fingo di non vedere, il problema non esiste, l’effetto struzzo nel pieno delle sue potenzialità.
L’IMPATTO SU BENESSERE E PRESTAZIONI
Celare la verità ha dei costi su prestazioni e benessere.
Il 97% delle persone coinvolte in uno studio, ha in media 13 segreti che riguardano il posto di lavoro, come licenziamenti o promozioni in sospeso, vita personale e famiglia[1].
Due sono i principali danni a cui si può andare incontro:
∑ Danneggia il benessere. L’energia per resistere, autocensurarsi, pensieri ossessivi e ansia nell’anticipare cosa sarebbe successo quando il segreto sarebbe stato rivelato non fanno bene alla salute.
∑ Danneggia la concentrazione e il processo decisionale: quando si è distratti da un segreto non si è completamente presenti, con la conseguenza che l’irrazionalità avrà vita più facile.
COSA SUCCEDE NEL CERVELLO DI CHI DEVE MANTENERE UN SEGRETO
∑ L’amigdala è super irritabile, pronta a mettersi in azione, con tutto ciò che ne consegue
∑ L’ippocampo, a causa dello stress da eccesso di cortisolo, è compromesso con una ripercussione su apprendimento, memoria e sistema immunitario,
∑ La corteccia prefrontale è offline a causa dell’iperattività della amigdala, quindi la capacità di comunicare, collaborare, innovare saranno limitate.
I DATI
Per molti, avere dei segreti, è utile. Una necessità che sovrasta ampiamente la difficoltà di dover mentire.
Una ricerca di Glassdoor, condotta nel Regno Unito, ha rivelato che il 44% degli intervistati dice di mentire per evitare di mettersi nei guai e il 34% per nascondere gli errori commessi[2].
Il 40% del campione, lo fa perché è “più facile essere d’accordo con la maggioranza” e il 24% perché al manager o ai colleghi non piace sentire opinioni diverse dalle loro.
Il 17% ha affermato di aver mentito perché si sentiva a disagio nel dare un feedback onesto ai colleghi.
Il 72% del campione ha detto che l’autenticità sul lavoro permette di creare una cultura solida e il 77% che questa favorisce le relazioni tra colleghi e clienti, ma solo il 51% crede che i loro CEO e manager siano autentici.
I COSTI ECONOMICI DEL MENTIRE
Scandagliando i dati scientifici, l’unica verità sembra essere che tutti mentano e celino segreti. Qualcuno ci riesce meglio di altri. D’altronde viviamo in un tempo in cui la bugia e l’inganno sono sempre più tollerate e non rappresentano un’eccezione, anche se questo costa molti soldi.
Secondo i dati dell’Association of Certified Fraud Examiners, in media ogni società perde il 5% dei guadagni annuali a causa di frodi, per un totale di circa 3.5 trilioni di dollari ogni anno. Le ricerche hanno determinato che ogni giorno, ogni individuo può ricevere dalle 10 alle 200 informazioni false. Un americano su quattro ritiene ammissibile mentire a un assicuratore, un terzo dei curriculum sono “aggiustati”. Un lavoratore su cinque dice di essere a conoscenza di frodi nel suo ambiente professionale ma non le riporta ai superiori.
A QUALI BUGIE PIACE CREDERE
Secondo Marcus Buckingham[3] e Ashley Goodall[4], NOVE sono le bugie a cui tutti, indistintamente, piace credere[5]:
∑ Alle persone importa per quale azienda lavorano
∑ A vincere è la migliore pianificazione
∑ Le migliori aziende lavorano su obiettivi
∑ I migliori talenti hanno un profilo completo
∑ Le persone hanno bisogno di feedback
∑ Le persone possono valutare altre persone in modo affidabile
∑ Le persone hanno un potenziale
∑ La cosa più importante è il work-life balance
∑ La leadership ha caratteristiche precise
L’esperienza di una persona in un’azienda è influenzata soprattutto dalle relazioni individuali. Per questo, è più importante il comportamento del proprio referente rispetto a un’astratta cultura aziendale che non si può verificare sulla propria pelle. La cultura aziendale è, secondo gli autori, un’utile convinzione condivisa che serve a orientare il comportamento di tutti.
Riguardo al talento, la convinzione è che chi ce l’ha sia concentrato su uno o due punti di forza. Il miglior nuotatore, il miglior calciatore o il miglior manager, sono coloro che hanno alcuni talenti precisi limitati a un’area specifica. Prendiamo Messi, che fa tutto con il piede sinistro. Chissà, forse con il destro sarebbe solo uno dei tanti.
Per capire i punti di forza di una persona? Non affidatevi alle review tra colleghi perché le persone semplicemente non sanno giudicare altre persone: troppi pregiudizi, troppi punti di vista parziali e poca chiarezza su cosa c’è da valutare. Per non parlare dei feedback: evitateli perché fanno cascare nell’errore di cercare di cambiare le persone invece di cambiare le situazioni e i contesti che portano problemi.
Lapidari i due ricercatori, mi piace credere che gli esseri umani siano meglio di così. Che sia, il mio, un bisogno di celare a me stessa la verità?
LE (NON) SOLUZIONI
∑ Comunicare che nella propria sfera di influenze non c’è spazio per la menzogna è un buon modo, un nudge che diventa un impegno, se fatto nel modo giusto. A cui si aggiunge dare il buon esempio.
∑ Non confondere il segreto con la bugia. Il costo dei segreti ha un prezzo emozionale e psicologico, tutti paghiamo per gli inganni, direttamente o indirettamente.
∑ Ricordarsi che ci si può proteggere tenendo a mente che una bugia non ha potere. Ne acquista nel momento in cui qualcuno decide di crederci. E se fossi tu a volerci credere a tutti i costi, quale bisogno credi così di soddisfare (e problema procrastinare)?
Queste ti sembrano soluzioni a basso impatto e magari anche banali? Forse, ma essere consapevoli di cosa spinge a mentire o a tenere un segreto è qualcosa che non trascurerei.
Quali (s)vantaggi ha sulla mia serenità e benessere, sul mio lavoro e sulla mia carriera? Cosa penso di ottenere o di evitare? Cosa rispondi?
Tutto ha un prezzo. Spetta a ognuno di noi dargli un valore e tenerlo a mente quando saremo di fronte a una scelta.
FONTI
[1] Slepian ML, Chun JS, Mason MF. The experience of secrecy. J Pers Soc Psychol. 2017 Jul;113(1):1-33.
[2] http://hrnews.co.uk/half-of-employees-have-lied-at-work/
[3] https://www.marcusbuckingham.com
[4] https://www.ashleygoodall.com
[5] https://www.amazon.it/Nine-Lies-about-Work-Freethinking-ebook/dp/B07C3ZT28C
NON mi PIACE più questo LAVORO, ma LASCIARLO SAREBBE un FALLIMENTO. 5 MITI da SFATARE
“Sono infelice. Il lavoro ha smesso di entusiasmarmi e non trovo più il perché nella maggior parte delle attività che svolgo. Voglio andarmene ma ogni volta che ne parlo in famiglia, ottengo le stesse reazioni: sei sicuro che sia la cosa giusta da fare? Tanti invidiano la tua posizione, o guadagnano meno di te. Non puoi essere così sprovveduto”.
Talvolta, quando opero progetti di change management incontro manager che in quello specifico contesto lavorativo non stanno bene, ma hanno paura a guardarsi intorno: “dopo la fatica che ho fatto per ottenere quest’incarico, tutti questi anni nella stessa azienda, andarmene sarebbe fallimento”.
Lasciare un posto solido e ben retribuito ma che non motiva più, non è una decisione facile da prendere. Ci sono molte variabili che occorre analizzare e ponderare. Spesso però a rendere la scelta più complessa, non sono tanto le incertezze legate al cambiamento, ma alcuni pregiudizi che ci incollano allo status quo.
Ecco 5 miti da cui guardarsi.
Mito N. 5. Lasciare = fallire
Alcune di queste frasi ti suonano familiari? Come alcuni bias insegnano, una volta che hai iniziato qualcosa non dovresti mai smettere fino a che non lo hai concluso, e se lo fai è un chiaro segno di fallimento. Ma se quella cosa non potesse mai dirsi conclusa… magari fino alla pensione?
A volte cambiare è esattamente la cosa giusta da fare.
Da bambina Tina Kiberg era una violinista di belle speranze che passava il tempo libero a esercitarsi. Un giorno, partecipando a un concorso, si rese conto che non sarebbe mai stata più che una violista mediocre. Però le piaceva cantare. Così abbandonò il violino e iniziò a cantare. E’ diventata una cantante d’opera internazionale di altissimo livello.
Prova a indovinare cosa hanno in comune Larry Page, Sergey Brin, Tiger Woods, Reese Witherspoon, John McEnroe e John Steinbeck? Hanno tutte lasciato Stanford.
Mito n. 4. È l’opzione più facile
Alcune persone vedono il cambiamento come un segno di debolezza.
Cambiare richiede coraggio. Lasciare un posto di lavoro tossico o allontanarsi da un capo incompetente o da un’attività che non regala soddisfazioni, può essere una scelta dolorosa e con strascichi emotivi non indifferenti. Sicuramente è tutt’altro che facile e comodo.
Mito n. 3. È un comportamento egoista
Se non ti piace il lavoro, non stai facendo un favore a nessuno rimanendo. Quando si è infelici, si tende a contagiare tutti coloro che stanno intorno. Per quanto riguarda la famiglia, forse sarebbero più contenti se non tornassi a casa ogni giorno stanco e frustrato.
Se vai al lavoro giorno dopo giorno, anno dopo anno, e odi davvero il tuo lavoro e torni a casa arrabbiato, cosa stai insegnando ai tuoi figli?
Mito n. 2. È rischioso per la carriera
Mentre rimanere per anni in un luogo di lavoro che odi e che ti sta lentamente logorando sarà FANTASTICO per la tua carriera! Più a lungo rimani, più perdi energia, motivazione e fiducia in te stesso di cui hai bisogno per avanzare nella carriera.
Mito n. 1. È l’ultima risorsa
Per le persone che credono a questo mito, smettere è l’ultima opzione. È quello che fai una volta che sei distrutto ed esausto per continuare a svolgere il tuo lavoro attuale. Ciò lo rende il più pericoloso dei miti qui elencati, perché significa che le persone rimangono in lavori scadenti fino a (o oltre) i loro punti di rottura. Talvolta però è troppo tardi.
La tua opinione
Ci sono altri miti che ti vengono in mente? Hai incontrato qualcuno di questi nella tua vita lavorativa? Come reagisci quando qualcuno vicino a te valuta la possibilità di cambiare lavoro?
3 TIPI di RESISTENZA al CAMBIAMENTO (in azienda) e COME SUPERARLI
Solo il 30% dei progetti di change management va a buon fine, 1 su tre.
La causa? La resistenza al cambiamento. Non la mancanza di competenze o risorse tecniche, ma a causa di una reazione umana.
Cosa crea resistenza al cambiamento
La resistenza è negli occhi di chi guarda. Le persone che resistono non vedono quello che fanno, spesso è più un atto di sopravvivenza.
La resistenza al cambiamento è una reazione al modo in cui viene condotto un cambiamento. Le persone resistono in risposta a qualcosa.
La resistenza serve a proteggere le persone. Se sono uno sciatore alle prime armi, è la resistenza a impedirmi di prendere la seggiovia per raggiungere la cima di una pista nera.
In un’organizzazione, la resistenza impedisce di dire “sì” a un incarico che penso metterà a rischio la mia carriera.
Quanto meglio riusciamo a vedere cosa causa resistenza, tanto più facile sarà creare le giuste condizioni per abbracciare il cambiamento. In altre parole, se comprendiamo la resistenza, comprendiamo anche l’altra faccia della medaglia: la spinta al cambiamento.
Tre sono i livelli di resistenza
1 – Non capisco
Riguarda le informazioni: fatti, cifre, idee. È il mondo del pensiero e dell’azione razionale. È il mondo delle presentazioni, dei diagrammi e degli argomenti logici.
Il livello 1 deriva da:
Molti commettono l’errore di trattare tutte le resistenze come se fossero di Livello 1. I leader danno alle persone più informazioni – tengono più riunioni e fanno più presentazioni PowerPoint – quando, in realtà, sarebbe necessario qualcosa di completamente diverso. Ed è qui che entrano in gioco i livelli 2 e 3.
2 – Non mi piace
Il livello 2 è una reazione emotiva al cambiamento. La pressione sanguigna aumenta, l’adrenalina scorre, il cuore accelera. Si basa sulla paura: le persone hanno paura che questo cambiamento faccia perdere loro lo status, il controllo, forse anche il lavoro. Come ben esplicitato nel film Governance, che ha anche ispirato questo post.
Il livello 2 non è facile da gestire. Non basta dire “stai tranquillo” e aspettarti che il soggetto reagisca di conseguenza. Qui è in gioco la nostra stessa sopravvivenza.
Quando il Livello 2 è attivo, rende molto difficile comunicare il cambiamento. Quando l’adrenalina è in circolo, passiamo alla modalità di combattimento o fuga (o rimaniamo immobilizzati, come un cervo sotto i fari in mezzo a una strada la notte). E smettiamo di ascoltare. Quindi, non importa quanto sia eccezionale la tua presentazione, una volta che si è attivato il livello 2, la risposta è incontrollabile. A questo punto le persone non scelgono di ignorarti, è solo che hanno cose più importanti per la testa, come pensare alla loro sopravvivenza.
Le organizzazioni di solito non incoraggiano le persone a rispondere emotivamente; quindi, i dipendenti limitano domande e commenti ai problemi di Livello 1. Fanno domande educate su budget e tempistiche. Quindi può sembrare che siano con te, ma non lo sono. Fanno domande di livello 1 sperando che tu legga tra le righe e parli delle loro paure. E qui c’è una cosa difficile che va tenuta in considerazione: potrebbero non essere consapevoli di operare a un livello emotivo così elementare.
3 – Non mi piaci
Forse gli piaci, ma non si fidano di te o non hanno fiducia nella tua leadership.
La mancanza di attenzione a livello 3, è una delle ragioni principali per cui la resistenza aumenta e i cambiamenti falliscono. E se ne parla raramente. I libri sul cambiamento parlano di strategie e piani ma la maggior parte di questi consigli non riesce a riconoscere una delle ragioni principali per cui il cambiamento fallisce.
Nella resistenza di livello 3, le persone non stanno resistendo all’idea – in effetti, potrebbero amare il cambiamento che stai presentando – ti stanno resistendo. Forse sei tu che le rendi diffidenti, per decisioni prese in passato, magari.
Qualunque siano le ragioni di questa resistenza profondamente radicata, non puoi permetterti di ignorarla.
Le persone possono capire l’idea che stai suggerendo (Livello 1) e possono anche pensare che questo cambiamento possa essere utile (Livello 2), ma non diventeranno cooperative se non si fidano di te.
Come trasformare la resistenza in supporto
Ecco alcune idee per iniziare ad affrontare i vari livelli di resistenza. Ps. Tieni conto che tutti e tre i livelli potrebbero agire contemporaneamente.
Livello 1 – Crea il tuo caso
Livello 2 – Sottolinea gli aspetti positivi
Livello 3 – Sii responsabile
Lo statista israeliano Abba Eban ha scritto:
Quindi non demordere…
RISOLVERE PROBLEMI in TEMPI INCERTI e CONDIZIONI IMPERFETTE
Prendere buone decisioni non è una abilità innata. Si può allenare e migliorare.
Ecco 5 approcci che possono rivelarsi molto utili.
1. Sii curioso
Di fronte all’incertezza, non stancarti di chiedere “Perché?”
Sfortunatamente, crescendo, tendiamo a smettere di fare domande. Il cervello dà un senso a un numero enorme di informazioni imponendo modelli che si sono dimostrati utili in passato. Ecco perché è utile fare una pausa e chiedersi:
Questo fino a quando non si arriva alla radice del problema.
I bias, tra cui conferma, disponibilità e ancoraggio, spesso portano a restringere anzitempo la gamma di soluzioni. Eppure le risposte migliori derivano dall’essere curiosi.
Un suggerimento arriva dell’economista Caroline Webb: mettere un punto interrogativo dopo le ipotesi iniziali tende a incoraggiare più percorsi di soluzione e pone l’accento, correttamente, sulla raccolta dei dati.
Utili sono anche le sessioni di tesi/antitesi, in cui un gruppo viene diviso in squadre avversarie che mettono in dubbio le conclusioni iniziali. I risultati migliori derivano dall’accettazione dell’incertezza. La curiosità è il motore della creatività.
2. Tollera l’ambiguità e rimani umile!
Spesso, quando pensiamo ai bravi decisori, tendiamo a immaginarli perfettamente razionali, quasi matematici. La realtà è che la maggior parte delle buone decisioni prevede molti tentativi e altrettanti errori; è più simile all’apparente casualità del rugby che alla precisione di un programmatore.
Le ipotesi basate sull’istinto possono essere sbagliate. Ecco perché una delle chiavi per operare in ambienti incerti è l’umiltà epistemica che Erik Angner definisce come:
Inizia con soluzioni sfidanti che implicano certezza. Puoi farlo nel modo migliore ponendo domande come:
Ciò rende più facile valutare le alternative. Quando l’incertezza è alta, vedi se puoi fare piccole mosse o acquisire informazioni a un costo ragionevole per arrivare a un insieme di soluzioni. La conoscenza perfetta scarseggia, in particolare per problemi aziendali e sociali complessi. Abbracciare l’imperfezione può portare a una risoluzione dei problemi più efficace. È praticamente un must in situazioni di elevata incertezza, come l’inizio di un processo di problem solving o durante un’emergenza.
3. Apri la visione
Le libellule hanno una visione quasi a 360 gradi, con un solo punto cieco dietro la testa. Questa straordinaria visione è una delle ragioni per cui è in grado di tenere d’occhio un singolo insetto all’interno di uno sciame e inseguirlo evitando collisioni a mezz’aria con altri insetti dello sciame.
L’idea di un occhio che cattura 360 gradi di percezione è un attributo dei “superprevisori”: i migliori nella previsione degli eventi.
Pensa a questo come ad allargare l’apertura su un problema o guardarlo attraverso diverse angolature. Allargando l’apertura, possiamo identificare minacce o opportunità diversamente impensabili. Il segreto per sviluppare una visione tipica delle libellule è “ancorarsi all’esterno” quando si affrontano problemi di incertezza e opportunità. Allarga più che puoi il contesto. Ma prendi nota: quando tempi e risorse sono limitate, si potrebbe essere tentati di restringere oltre modo il campo e fornire una risposta convenzionale.
4. Sfrutta l’intelligenza collettiva e la saggezza della folla
E’ il consiglio di Chris Bradley.
Quando Sir Rod Carnegie era CEO di Conzinc Riotinto Australia (CRA), era preoccupato per i costi dei tempi di stop imprevisti degli autocarri pesanti, in particolare quelli che richiedevano il cambio dei pneumatici. Ha chiesto al team chi era il migliore al mondo a cambiare le gomme; la risposta è stata la Formula Uno, la competizione automobilistica. Un team si è recato nel Regno Unito per apprendere le migliori pratiche per il cambio degli pneumatici nei box della pista e poi ha implementato ciò che ha appreso a migliaia di chilometri di distanza, nella regione di Pilbara, nell’Australia occidentale. La squadra più intelligente per questo problema non era affatto nel settore minerario. Non era sul posto, ma non ce ne sarebbe comunque stato bisogno.
5. Mostra e racconta perché la narrazione genera azione
I risolutori di problemi con poca esperienza tendono a mostrare il loro processo in modo analitico per convincerti dell’intelligenza della loro soluzione. I risolutori di problemi esperti raccontano il modo in cui collegano il pubblico al problema e poi usano combinazioni di logica e persuasione per ottenere l’azione.
Un team della Nature Conservancy, stava presentando una proposta per chiedere a una fondazione filantropica di sostenere il ripristino delle barriere coralline e la salvaguardia delle ostriche. Prima della presentazione, il team ha portato 17 secchi pieni d’acqua nella sala riunione. Quando i membri della fondazione sono entrati nella stanza, hanno subito voluto sapere a cosa servivano i secchi. Il team ha spiegato che il ripristino delle barriere migliora notevolmente la qualità dell’acqua perché ogni ostrica filtra 17 secchi d’acqua al giorno. Le ostriche possono aiutare a far funzionare l’economia. I decisori sono stati portati nella risoluzione dei problemi attraverso lo spettacolo e il racconto.
Il problem solving più elegante è quello che rende ovvia la soluzione. Il compianto economista Herb Simon l’ha messa in questo modo:
Inizia con l’essere chiaro sull’azione che dovrebbe scaturire dalla risoluzione dei problemi e dai risultati: l’idea guida per il cambiamento. Quindi trova un modo per presentare visivamente la tua logica in modo che il percorso verso le risposte possa essere discusso e abbracciato. Presenta l’argomento in modo emotivo e logico e mostra perché l’azione preferita offre un interessante equilibrio tra rischi e benefici. Ma non fermarti qui. Spiega i rischi dell’inazione, che spesso hanno un costo maggiore rispetto alle azioni imperfette.
Questi approcci possono essere utili in un’ampia gamma di circostanze, ma in tempi di grande incertezza sono essenziali.
Ora tocca a te…
Fonti
Angner E., “Epistemic humility—knowing your limits in a pandemic,” Behavioral Scientist, April 13, 2020, behavioralscientist.org.
Duke A., Thinking in Terms of Bets: Making Smarter Decisions When You Don’t Have All the Facts, New York, NY: Portfolio/Penguin, 2018.
Tetlock P., Gardner D., Superforecasting: The Art and Science of Prediction, New York, NY: Crown, 2015.
Bradley C., Hirt M., Smit S., Strategy Beyond the Hockey Stick: People, Probabilities, and Big Moves to Beat the Odds, Hoboken, NJ: Wiley, 2018.
Bradley C, McLean R., “Want better strategies? Become a bulletproof problem solver,” August 2019.
Simon H., The Sciences of the Artificial, Cambridge, MA: MIT Press, 1969.
5 REGOLE per EVITARE DECISIONI SBAGLIATE ( a volte il successo consiste solo nel non fallire)
Una parte del mio lavoro consiste nell’aiutare le persone a prendere decisioni migliori.
Talvolta, per quanto non ci piaccia ammetterlo, il successo sta nell’evitare di prendere decisioni sbagliate.
Ecco cinque motivi per cui prendiamo decisioni sbagliate.
Siamo involontariamente stupidi
Ci piace pensare di poter elaborare razionalmente le informazioni come computer, ma non siamo in grado di farlo. Almeno non nel lungo periodo e non in presenza di grandi quantità di dati. I bias cognitivi spiegano perché abbiamo preso una decisione sbagliata, ma raramente ci aiutano a evitarli o prevenirli.
Sull’immediato è più utile concentrarsi su alcuni segnali che ci stanno avvertendo che stiamo per fare, involontariamente, qualcosa di stupido:
La regola: non prendere mai decisioni importanti quando sei stanco, emotivo, distratto o di fretta.
Risolviamo il problema sbagliato
Chi butta sul lavoro un problema, raramente ha chiaro il problema. Eppure il modo in cui lo pone può condizionare la capacità di problem solving del gruppo, senza contare che sovente dimentica di chiedere se si sta risolvendo il problema giusto.
Segnali di avvertimento che si sta risolvendo il problema sbagliato:
La regola: non permettere mai a nessuno di definire il problema per te.
Usiamo informazioni errate o insufficienti
Ci piace credere che le persone dicano la verità. Ci piace credere che le persone con cui parliamo capiscano di cosa stanno parlando. Ci piace credere di avere le informazioni utili per contestualizzare e gestire il problema.
Segnali di avvertimento che hai informazioni errate o insufficienti:
La regola: cerca informazioni da qualcuno il più vicino possibile alla fonte. Quando le informazioni vengono filtrate (e spesso accade), prima si considerano gli incentivi e solo dopo si pensa alla correttezza delle informazioni acquisite.
Non impariamo
Hai presente il collega con vent’anni di esperienza che continua a ripetere sempre gli stessi errori? Non ha vent’anni di esperienza, ha un anno di esperienza ripetuto venti volte. Se non puoi imparare, non puoi migliorare.
La maggior parte di noi può osservare e reagire di conseguenza. Ma per imparare dall’esperienza, dobbiamo riflettere sulle nostre reazioni. La riflessione deve essere parte del tuo processo, non qualcosa che potresti fare se hai tempo. In breve, non possiamo imparare dall’esperienza senza riflettere. Solo la riflessione ci permette di distillare l’esperienza in qualcosa da cui possiamo imparare per prendere decisioni migliori in futuro.
Segnali di avvertimento che non stai imparando:
La regola: essere meno occupati. Tieni un diario di apprendimento. Rifletti ogni giorno.
Ci concentriamo poco sui risultati
Siamo portati a fare ciò che è facile rispetto a ciò che è giusto. Dopotutto, è più facile dire di essere virtuosi che esserlo.
Segnali di avvertimento:
La regola: agisci come vorresti che un dipendente agisse se fossi il proprietario dell’azienda.
Evitare decisioni sbagliate è importante quanto prenderne di buone. Conoscere i segnali di pericolo e avere una serie di regole limita la quantità di fortuna di cui hai bisogno per ottenere buoni risultati.
QUAL E’ LA MIGLIORE CULTURA ORGANIZZATIVA PER LA TUA AZIENDA? Per (eventualmente) cambiarla…
Quello della cultura organizzativa è un argomento affascinante. Approfondirlo ti permette di avere informazioni preziose per compiere con sicurezza i prossimi passi verso i tuoi obiettivi. Tuttavia, il termine in sé, può sembrare non così intuitivo.
COSA INTENDIAMO PER “CULTURA ORGANIZZATIVA”?
La cultura si apprende dall’ambiente ed è sempre un fenomeno condiviso e collettivo. Ed è composta da vari strati[1].
Sullo strato esterno, ci sono i simboli: cibo, loghi, colori o monumenti.
Il livello successivo è costituito dagli eroi: personaggi pubblici della vita reale, statisti, atleti o personaggi della cultura popolare, ecc
Sul terzo strato, più vicino al nucleo, i rituali: eventi ricorrenti che modellano la nostra mente inconscia. Esistono sia nella società (es. celebrazione di ricorrenze, mance nei ristoranti) sia nelle organizzazioni (es. riunioni, lunch meeting, ecc).
Al centro, ci sono i valori: trasmessi dall’ambiente in cui cresciamo, come il comportamento dei genitori o degli insegnanti che ci mostrano cosa è accettabile e cosa no.
I problemi con la cultura di solito non emergono quando tutto va bene: è quando ci sentiamo minacciati o a disagio che abbiamo la tendenza a tornare alle origini.
Poiché la cultura è un fenomeno di gruppo, la usiamo per analizzare il comportamento dei gruppi e fare una valutazione della probabilità che gruppi di persone agiscano in un certo modo. Una persona non rappresenta l’intera cultura, ma in un gruppo di persone di una cultura, è probabile che le persone agiscano in un modo appropriato per quella cultura.
Da un punto di vista aziendale questo fa della cultura un importante strumento di gestione , nei confronti di gruppi di persone. Anche se non puoi cambiare i valori delle persone, puoi apportare modifiche appropriate nelle pratiche della tua organizzazione per assicurarti di lavorare con quei valori culturali, piuttosto che contro di loro.
Per meglio comprendere quale cultura abita la nostra organizzazione si può ricorrere a due modelli:
La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede[2]:
Il modello di Geert Hofstede (professore di antropologia delle organizzazioni all’università di Maastricht), destruttura la cultura in sei dimensioni:
La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede può essere estremamente utile anche per comprendere i diversi stili di comunicazione, culture, comportamenti e atteggiamenti.
Edgar Schein e la cultura organizzativa
Edgard Schein, ex professore alla MIT Sloan School of Management, ha ipotizzato un modello suddiviso in 3 parti.
COME SI CREA UNA BUONA CULTURA DI SQUADRA?
Inizia a notare le sue caratteristiche. Presta attenzione ai valori condivisi, al modo in cui le persone si esprimono e alle storie che raccontano sui loro successi e fallimenti.
Inizia creando tre elenchi:
Questa è la parte divertente. Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere. Come sarebbe la cultura ideale? Scrivilo nel modo più dettagliato possibile.
Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere.
La cultura non cambierà a meno che tu non proponga una visione per qualcosa di nuovo. Devi articolare in un modo che sia avvincente e specifico. E non puoi farlo solo una volta. Inizialmente, l’unica visione dell’esistenza è nelle tue parole. Devi continuare a parlarlo finché non mette radici e comincia a crescere.
Sto parlando di più di un accordo. Hai bisogno di allineamento. Questo è qualcosa di completamente diverso. Vuoi una squadra che acquisti la visione, capisca cosa è in gioco e sia disposta a prendere una posizione per realizzarla. Consideralo un complotto. Non in senso negativo, ma in senso positivo. Tu e il tuo team state cospirando insieme per apportare un cambiamento positivo che trasformerà la tua organizzazione.
E infine…
Intuitivamente, sembra l’approccio più naturale: se la cultura è associata al modo di pensare delle persone, per cambiarla è necessario agire direttamente sulle persone. Eppure cambiare direttamente il modo di pensare delle persone è una missione impossibile. Ciò che va cambiato è il modo di agire delle persone
Le persone non oppongono resistenza al cambiamento, ma a essere cambiate. Pertanto guardano con sospetto a ogni tentativo di cambiare il loro modo di pensare, in particolare quando il cambiamento sembra assumere un carattere manipolativo o viene interpretato come una minaccia alla propria persona o all’organizzazione.
La logica in base alla quale per ottenere un cambiamento della cultura è preferibile agire sul contesto parte dall’assunto che le persone sono positive e gli eventuali comportamenti negativi sono determinati da pressioni del contesto stesso o da assunti errati, della cui correttezza però le persone sono convinte. Pertanto, di fronte a un comportamento negativo, è necessario separare nettamente il giudizio sul comportamento, dal giudizio sulla persona che lo ha adottato.
Tale approccio fa leva su due strumenti chiave del change management: i nudge e i feedback. Anziché agire direttamente sulla cultura al fine di produrre un cambiamento nel contesto, risulta più efficace agire sul contesto, introducendo nuove regole, procedure e meccanismi operativi, in grado di favorire un progressivo cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone. Questo richiede che i leader progettino sistemi nei quali appaia facile e conveniente per le persone assumere decisioni corrette, delle quali possono beneficiare sia loro che l’organizzazione.
Fonti
[1] https://hi.hofstede-insights.com/organisational-culture
[2] Hofstede G., Hosfede G.J., Minkov M., Culture e organizzazioni, Franco Angeli, 2014
Schein, E.H. (1999), “Empowerment, coercive persuasion and organizational learning: do they connect?”, The Learning Organization, Vol. 6 No. 4, pp. 163-172.
Schein E.H., (2018), Cultura d’azienda e leadership, Raffaello Cortina ed.
https://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.475.3285&rep=rep1&type=pdf
28 Ottobre ’21 – Workshop “La ricchezza di un’azienda sono e restano le persone”, Alba90 Day
28 Ottobre 2021 – Speech “La ricchezza di un’azienda sono e restano le persone”, in occasione dell’Alba90 Day – Allianz Group
BIKESHEDDING: la TENDENZA a CONCENTRARSI su cose BANALI (a scapito di quelle IMPORTANTI)
Di fronte a due decisioni, una importante e una irrilevante, abbiamo la tendenza a dare la precedenza a quella banale credendo che ci vorrà meno tempo a processarla.
Sbagliando…
BIKESHEDDING
La tendenza a dedicare troppo tempo a questioni banali, spesso sorvolando su quelle importanti, ha un nome insolito: bikeshedding.
Il bikeshedding ci rende miopi nella allocazione del tempo, portandoci a dedicarci prima ai compiti semplici pensando che ci vorrà meno tempo per espletarli.
Se l’odg di una riunione include decidere se aprire a nuovo mercato oltreoceano e l’acquisto di nuove scrivanie, la tendenza è spesso quella di dedicarsi prima agli arredi, poiché ritenuta una decisione più semplice e veloce ma così facendo quando si arriva a analizzare i dati per una eventuale espansione si avrà a malapena il tempo sufficiente per aprire il confronto.
PERCHE’ SUCCEDE
A spiegarlo è lo storico navale Cyril Northcote Parkinson:
Ciò significa che meno un problema è importante, più tempo viene dedicato ad esso. O per dirla in un altro modo, se assegni un’ora a un compito che richiede solo 30 minuti, psicologicamente, il compito finisce per acquisire la complessità di un compito della durata di un’ora.
Per illustrare l’assunto, lo storico chiese di immaginare una riunione del comitato finanziario con un ordine del giorno in tre punti:
Cosa accadde?
Il comitato finì per esaminare il primo punto in un tempo non sufficiente a prendere una decisione informata. La decisione era, per la maggior parte dei membri, eccessivamente complessa e poco sapevano sull’argomento e chi era preparato, non sapendo come spiegare i dettagli al resto del gruppo, ha finito con il complicare ulteriormente la decisione.
La discussione si sposta così sul secondo punto. Qui, i membri del comitato si sentono più a loro agio nell’esprimere opinioni. Sanno tutti cos’è un capanno per biciclette e che aspetto ha. Molti avviano così un dibattito sul miglior materiale possibile da utilizzarsi, valutando le opzioni che potrebbero consentire risparmi modesti. E finiscono con il discutere del capanno delle biciclette molto più a lungo della centrale nucleare.
Infine, la commissione passa al punto tre: il budget del caffè. Improvvisamente, tutti sono esperti. Prima che qualcuno si renda conto di cosa sta succedendo, trascorrono più tempo a discutere del budget di £ 21 per il caffè rispetto alla centrale nucleare e al capanno delle biciclette messi insieme! Alla fine, terminando il tempo a disposizione, il comitato decise di riunirsi di nuovo per completare la analisi. Tutti se ne andarono soddisfatti, avendo contribuito alla conversazione.
LA SFERA DI COMPETENZA
Parlare di biciclette è semplice, tutti hanno un’opinione al riguardo e quindi più cose da dire. Quando qualcosa è al di fuori della nostra sfera di competenza, come una centrale nucleare, non proviamo nemmeno ad articolare un’opinione. Ma quando qualcosa è appena comprensibile, anche se non abbiamo nulla di valore da aggiungere, ci sentiamo obbligati a dire qualcosa per non sembrare stupidi. Chi non ha niente da dire su una rimessa per biciclette? Tutti vogliono dimostrare di conoscere l’argomento in questione.
Qualunque sia la decisione, non dovremmo dare uguale importanza a ogni opinione. Vanno enfatizzati gli input di coloro che hanno esperienza in merito. E se siamo noi a voler intervenire, dovremmo chiederci se ciò che vogliamo dire è davvero utile e prezioso ai fini della decisione.
STRATEGIE ANTI-BIKESHEDDING
Avere uno scopo e un obiettivo chiaro impedisce di cadere vittime del bikeshedding.
La specificità è un ingrediente cruciale. Così facendo sarà facile rendersi conto che non è una grande idea discutere la costruzione di una centrale nucleare e di un capanno per biciclette nella stessa riunione. Non c’è abbastanza specificità.
Le opinioni più informate sono le più rilevanti. Questo è uno dei motivi per cui non è strategico invitare alle riunioni un numero eccessivo di persone presenti, se non portano valore aggiunto alla discussione. Tutti vogliono partecipare, ma non tutti hanno qualcosa di significativo da contribuire. Evita di invitare coloro che difficilmente hanno conoscenze ed esperienza pertinenti. Ottenere il risultato desiderato, una discussione ponderata e informata sulla centrale elettrica, dipende dall’avere le persone giuste nella stanza.
Utile è organizzare riunioni specifiche per tipologia di decisione da prendere. Se un problema complesso viene portato in una riunione con un lungo ordine del giorno, può perdersi tra questioni banali. Se è l’unico punto all’odg, sarà difficile evitare di parlarne.
Esempio – Zoom come soluzione
A causa del COVID-19, le riunioni Zoom sono diventate la nuova normalità e potrebbero essere di supporto nel contrastare il bikeshedding.
Zoom versione base infatti consente riunioni gratis di 45 minuti: questo è un antidoto perfetto. Sapere che si ha solo 45 minuti per la riunione può aiutarci a rimanere concentrati sulle questioni importanti. Zoom ci dà anche promemoria di quanto tempo è rimasto, il che significa che se la discussione è andata fuori strada, questi promemoria possono aiutare a riportare il gruppo sulla questione importante.
Riepilogo
Il bikeshedding descrive la nostra tendenza a passare troppo tempo a discutere di questioni banali e, di conseguenza, troppo poco tempo a discutere di questioni importanti. Descrive la relazione inversa tra il tempo trascorso e l’importanza di un problema.
Si verifica perché è molto più facile discutere questioni semplici che comprendiamo adeguatamente. Nei contesti di gruppo, spesso cerchiamo di esprimere le nostre opinioni come un segno di partecipazione e abbiamo maggiori probabilità di parlare di un problema relativamente semplice perché è scoraggiante discutere di un argomento complicato, anche se è più importante.
Il bikeshedding può essere evitato cercando di rimanere in tema. Per rimanere concentrati su questioni importanti, possiamo optare per riunioni con un unico punto all’odg; questo rende meno probabile che si vada fuori strada, o ancora, assegnare una persona specifica che tenga conto del tempo a disposizione. Un altro modo è limitare la partecipazione alla riunione alle persone strettamente necessarie.
Fonti
LE PERSONE NON RESISTONO AL CAMBIAMENTO. RESISTONO A ESSERE CAMBIATE
Uno degli errori più ricorrenti quando si applicano interventi di change management è concentrarsi unicamente sul cambiamento che si vuole ottenere trascurando l’impatto che questo ha sulle persone che lo subiranno.
Se si è troppo concentrati sul piano di azione e poco sulle persone, ci sono buone possibilità che il progetto fallisca.
Uno dei modelli più utili allo scopo è quello di William Bridges.
Che cos’è il modello di transizione Bridges?
Creato dal consulente organizzativo William Bridges, questo modello ha la peculiarità di fare una distinzione tra cambiamento e transizione.
Bridges ha descritto il cambiamento come “un evento esterno che si verifica“. Ad esempio, l’adozione di un nuovo software o il lancio di un nuovo prodotto.
Ciò che le persone attraversano durante questo cambiamento esterno è una “transizione” interna. Il modello di transizione di Bridges si concentra sul processo psicologico che vivono le persone durante il cambiamento e consta di tre fasi.
Se gli step di transizione non vengono affrontati e gestiti, la resistenza al cambiamento può far deragliare il progetto o non produrre il risultato finale desiderato.
Un aspetto chiave è dato dal fatto che l’obiettivo di un progetto di change management di successo non dovrebbe essere il risultato del cambiamento, ma la fine del vecchio processo che le persone devono affrontare all’inizio di quel cambiamento .
Pur essendo simile al modello Lewin, il modello di Bridges è più incentrato sull’individuo e sulle tante emozioni (sia negative sia positive) che possono accompagnare un cambiamento organizzativo.
L’obiettivo è che coloro che facilitano il cambiamento comprendano e affrontino eventuali emozioni negative in modo che possano rimuovere le barriere al cambiamento.
Le fasi della transizione
Come si usa il modello di transizione di Bridges per facilitare il cambiamento?
Una volta che sai cosa stanno attraversando le persone, come puoi utilizzare il modello Bridges per facilitare il cambiamento?
COMUNICAZIONE
E’ importante che le persone sappiano quale ruolo svolgono nel cambiamento, in modo che si sentano incluse e apprezzate. Comunicaglielo.
FEEDBACK
Dai alle persone la possibilità di esprimere ciò che sentono riguardo al cambiamento. Entrare in contatto con gli stakeholder, durante il progetto di cambiamento, può aiutarti a essere consapevole in quale fase del modello Bridges si trovano. Ciò ti consentirà di affrontare i sentimenti negativi che potrebbero impedir loro di abbracciare il cambiamento.
MONITORAGGIO
Segui le persone mentre attraversano le tre fasi del modello Bridges in modo da sapere quali piani d’azione potrebbero dover essere messi in atto per gestire la resistenza al cambiamento.
E ricorda, le persone non resistono al cambiamento. Resistono a essere cambiate.
17 Ottobre ’21 Nudge Revolution alla Fiera del libro di Torino
Nudge Revolution alla Fiera del libro di Torino
IL COSTO DEI SEGRETI (nelle organizzazioni)
Abbiamo tutti dei segreti.
Potrebbe essere quello di sapere che la promozione promessa a un collaboratore sarà disattesa; il trasferimento in un altro dipartimento non sarà bloccato, il tempo determinato non sarà rinnovato, e via dicendo.
Qualunque sia la decisione, prima di poterla comunicare talvolta occorre tenerla segreta, autocensurarsi, far buon viso a cattivo gioco, adattarsi… E non tutti riescono ad accettarlo.
D’altra parte però, decenni di studi scientifici, dimostrano che spesso preferiamo non smascherarli i segreti, perché incrinerebbero (finchè durano) il nostro bisogno di falso controllo. Fintanto che fingo di non vedere, il problema non esiste, l’effetto struzzo nel pieno delle sue potenzialità.
L’IMPATTO SU BENESSERE E PRESTAZIONI
Celare la verità ha dei costi su prestazioni e benessere.
Il 97% delle persone coinvolte in uno studio, ha in media 13 segreti che riguardano il posto di lavoro, come licenziamenti o promozioni in sospeso, vita personale e famiglia[1].
Due sono i principali danni a cui si può andare incontro:
∑ Danneggia il benessere. L’energia per resistere, autocensurarsi, pensieri ossessivi e ansia nell’anticipare cosa sarebbe successo quando il segreto sarebbe stato rivelato non fanno bene alla salute.
∑ Danneggia la concentrazione e il processo decisionale: quando si è distratti da un segreto non si è completamente presenti, con la conseguenza che l’irrazionalità avrà vita più facile.
COSA SUCCEDE NEL CERVELLO DI CHI DEVE MANTENERE UN SEGRETO
∑ L’amigdala è super irritabile, pronta a mettersi in azione, con tutto ciò che ne consegue
∑ L’ippocampo, a causa dello stress da eccesso di cortisolo, è compromesso con una ripercussione su apprendimento, memoria e sistema immunitario,
∑ La corteccia prefrontale è offline a causa dell’iperattività della amigdala, quindi la capacità di comunicare, collaborare, innovare saranno limitate.
I DATI
Per molti, avere dei segreti, è utile. Una necessità che sovrasta ampiamente la difficoltà di dover mentire.
Una ricerca di Glassdoor, condotta nel Regno Unito, ha rivelato che il 44% degli intervistati dice di mentire per evitare di mettersi nei guai e il 34% per nascondere gli errori commessi[2].
Il 40% del campione, lo fa perché è “più facile essere d’accordo con la maggioranza” e il 24% perché al manager o ai colleghi non piace sentire opinioni diverse dalle loro.
Il 17% ha affermato di aver mentito perché si sentiva a disagio nel dare un feedback onesto ai colleghi.
Il 72% del campione ha detto che l’autenticità sul lavoro permette di creare una cultura solida e il 77% che questa favorisce le relazioni tra colleghi e clienti, ma solo il 51% crede che i loro CEO e manager siano autentici.
I COSTI ECONOMICI DEL MENTIRE
Scandagliando i dati scientifici, l’unica verità sembra essere che tutti mentano e celino segreti. Qualcuno ci riesce meglio di altri. D’altronde viviamo in un tempo in cui la bugia e l’inganno sono sempre più tollerate e non rappresentano un’eccezione, anche se questo costa molti soldi.
Secondo i dati dell’Association of Certified Fraud Examiners, in media ogni società perde il 5% dei guadagni annuali a causa di frodi, per un totale di circa 3.5 trilioni di dollari ogni anno. Le ricerche hanno determinato che ogni giorno, ogni individuo può ricevere dalle 10 alle 200 informazioni false. Un americano su quattro ritiene ammissibile mentire a un assicuratore, un terzo dei curriculum sono “aggiustati”. Un lavoratore su cinque dice di essere a conoscenza di frodi nel suo ambiente professionale ma non le riporta ai superiori.
A QUALI BUGIE PIACE CREDERE
Secondo Marcus Buckingham[3] e Ashley Goodall[4], NOVE sono le bugie a cui tutti, indistintamente, piace credere[5]:
∑ Alle persone importa per quale azienda lavorano
∑ A vincere è la migliore pianificazione
∑ Le migliori aziende lavorano su obiettivi
∑ I migliori talenti hanno un profilo completo
∑ Le persone hanno bisogno di feedback
∑ Le persone possono valutare altre persone in modo affidabile
∑ Le persone hanno un potenziale
∑ La cosa più importante è il work-life balance
∑ La leadership ha caratteristiche precise
L’esperienza di una persona in un’azienda è influenzata soprattutto dalle relazioni individuali. Per questo, è più importante il comportamento del proprio referente rispetto a un’astratta cultura aziendale che non si può verificare sulla propria pelle. La cultura aziendale è, secondo gli autori, un’utile convinzione condivisa che serve a orientare il comportamento di tutti.
Riguardo al talento, la convinzione è che chi ce l’ha sia concentrato su uno o due punti di forza. Il miglior nuotatore, il miglior calciatore o il miglior manager, sono coloro che hanno alcuni talenti precisi limitati a un’area specifica. Prendiamo Messi, che fa tutto con il piede sinistro. Chissà, forse con il destro sarebbe solo uno dei tanti.
Per capire i punti di forza di una persona? Non affidatevi alle review tra colleghi perché le persone semplicemente non sanno giudicare altre persone: troppi pregiudizi, troppi punti di vista parziali e poca chiarezza su cosa c’è da valutare. Per non parlare dei feedback: evitateli perché fanno cascare nell’errore di cercare di cambiare le persone invece di cambiare le situazioni e i contesti che portano problemi.
Lapidari i due ricercatori, mi piace credere che gli esseri umani siano meglio di così. Che sia, il mio, un bisogno di celare a me stessa la verità?
LE (NON) SOLUZIONI
∑ Comunicare che nella propria sfera di influenze non c’è spazio per la menzogna è un buon modo, un nudge che diventa un impegno, se fatto nel modo giusto. A cui si aggiunge dare il buon esempio.
∑ Non confondere il segreto con la bugia. Il costo dei segreti ha un prezzo emozionale e psicologico, tutti paghiamo per gli inganni, direttamente o indirettamente.
∑ Ricordarsi che ci si può proteggere tenendo a mente che una bugia non ha potere. Ne acquista nel momento in cui qualcuno decide di crederci. E se fossi tu a volerci credere a tutti i costi, quale bisogno credi così di soddisfare (e problema procrastinare)?
Queste ti sembrano soluzioni a basso impatto e magari anche banali? Forse, ma essere consapevoli di cosa spinge a mentire o a tenere un segreto è qualcosa che non trascurerei.
Quali (s)vantaggi ha sulla mia serenità e benessere, sul mio lavoro e sulla mia carriera? Cosa penso di ottenere o di evitare? Cosa rispondi?
Tutto ha un prezzo. Spetta a ognuno di noi dargli un valore e tenerlo a mente quando saremo di fronte a una scelta.
FONTI
[1] Slepian ML, Chun JS, Mason MF. The experience of secrecy. J Pers Soc Psychol. 2017 Jul;113(1):1-33.
[2] http://hrnews.co.uk/half-of-employees-have-lied-at-work/
[3] https://www.marcusbuckingham.com
[4] https://www.ashleygoodall.com
[5] https://www.amazon.it/Nine-Lies-about-Work-Freethinking-ebook/dp/B07C3ZT28C