DENARO o REGALI? COSA METTERE sotto l’ALBERO?

Gli economisti sconsigliano di far trovare doni sotto l’albero, a Natale, in quanto abitudine (teoricamente) insensata e poco razionale.

Difficile dar loro totalmente torto soprattutto quando aperto il pacco ci si trova per le mani l’ennesimo foulard dai colori improbabili o un irritante maglione di lana riesumato da qualche fondo di magazzino.

Se agissimo come perfetti agenti razionali che non siamo, dovremmo regalare e voler ricevere denaro. A supporto gli studi di T. Ellingsen e M. Johannesson della Stockholm School of Economics, dove in ‘Conspicuous Generosity‘ (Generosità cospicua) stilano un elenco di ragioni per le quali è meglio scartare banconote, a Natale, piuttosto che regali.

L’acquisto dei regali comporta necessariamente dei rischi: il destinatario potrebbe non gradire il presente e, di conseguenza, il mancato piacere porterebbe all’annullamento del valore del dono; la valuta contante, al contrario, consente di acquistare esattamente ciò che si desidera.

Waldfogel, professore di economia applicata alla Carlson School of Management (Università del Minnesota), ha dimostrato che la somma che vorrebbero ricevere le persone al posto dei regali è inferiore rispetto al valore di uno qualsiasi tra i regali ricevuti.

Il discorso, in soldoni, non fa una piega.

Eppure milioni di persone preferiscono spendere i loro soldi nell’irrazionale paradosso del regalo perfetto e, nella maggior parte dei casi “poco utile”.

Il denaro viene associato a valori negativi, spiegano i ricercatori dell’Università svedese: la presenza di denaro spinge di fatto le persone a comportarsi in maniera sconsiderata. Gli individui sono più generosi quando hanno la possibilità di offrire solo il proprio tempo, piuttosto che l’opportunità di donare denaro.

I regali sono la manifestazione d’affetto nei confronti del prossimo e questo spiega il perché, quasi universalmente, i regali di Natale che richiedono tempo e sforzo siano più graditi rispetto a quelli molto costosi.

Tutti i regali rivelano qualcosa di ciò che colui che dona pensa rispetto al destinatario e sono la manifestazione tangibile della comprensione. Il regalo perfetto è ciò che il destinatario realmente desidera, gradisce ed apprezza e che magari non si comprerebbe mai da solo. Alla fine il dono giusto rimane, a dispetto dell’utopica razionalità, quello fatto con il cuore.

La PERSUASIONE OCCULTA nel WEB si CHIAMA CAPTOLOGIA

Influenza il modo in cui pensiamo e agiamo e ci aiuta a risolvere nuovi problemi attraverso nuove soluzioni. Ci ammalia, motiva e convince.
Chi, cosa?

La captologia, quel territorio di indagine dove arte della persuasione e scienza dei computer si mescolano e che comprende la progettazione, la ricerca e l’analisi di prodotti informatici interattivi, come il Web, software per computer, smartphone e apparecchi specializzati, inclusi siti, applicazioni mobili e social network, creati allo scopo di cambiare atteggiamenti o comportamenti delle persone.

A coniare il termine, nel 1996, B.J. Fogg, direttore del Laboratorio di Tecnologia Persuasiva alla Stanford University, derivandolo dall’acronimo Computers As Persuasive Technologies: CAPT.

La persuasione, nel senso della captologia, si riferisce a qualsiasi tentativo atto a provocare “intenzionalmente”, tramite l’interazione uomo-macchina, un determinato cambiamento “volontario” nelle idee e nei comportamenti, senza far uso di inganno o coercizione. Sono esclusi quei cambiamenti che, pur avvenendo a seguito dell’interazione uomo- macchina, non sono stati voluti e intenzionalmente pianificati dal progettista.

L’idea della persuasione subliminale ha origine negli anni 50 con gli “inserti subliminali” nei cinema, poi screditata quando chi la lanciò ammise di aver falsificato le ricerche. L’attuale resurrezione del subliminale, questa volta su computer, si fonda su nuove evidenze dalle neuroscienze che hanno mostrato come ad esempio le parti del cervello deputate all’elaborazione del linguaggio si attivano di fronte a stimoli subliminali contenenti parole.

Non si può non citare alcuni curiosi risultati.

Come quello condotto da M. Cavazza (Teesside University) in cui gli utenti usando al computer una simulazione 3D di un frigorifero, dovevano riempirlo con vari cibi. I ricercatori hanno tentato di influenzarne le scelte inserendo immagini subliminali di cibi. Quando gli utenti reagivano immediatamente dopo lo stimolo subliminale (entro 1 secondo), le loro scelte venivano effettivamente influenzate, mentre se passava più tempo l’effetto andava perso.

Gli stimoli ambientali, quali colori od odori, a cui non siamo soliti attribuire significati persuasivi, possono influenzarci, come hanno dimostrato due ricercatori olandesi, Cees Midden e Jaap Ham. Cambiare il colore delle luce ambientale in base a quanto elevato è il consumo risultante dalla programmazione del termostato, è una strategia efficace per ottenere comportamenti energetici più contenuti. Un’ottima applicazione di nudge, posso aggiungere.

Se invece si vuole persuadere in rete e raccogliere un numero ampissimo di followers? La cosa più valida da fare (come ha dimostrato Genevieve Johnson dell’Università dell’Oklahoma) è:
– millantare un elevato livello di esperienza sul tema che si tratta,
– esprimersi con la sicurezza e chiarezza di chi sa tutto (anche se non è così)
– atteggiarsi ad autorità indiscutibile, e quindi impossibile da contraddire
– e per rafforzare anche i più insensati “ragionamenti”, ricordate di citare qualche (sconosciuto) scienziato o (improbabile) pubblicazione scientifica.

Talvolta o forse troppo spesso purtroppo il Web riesce a dare credibilità anche a persone che non apparirebbero né esperte né autorevoli in un confronto pubblico faccia a faccia ed in tempo reale.

PERCHE’ ci AFFIDIAMO alle FAKE NEWS?

Immancabilmente come i tormentoni musicali da spiaggia, allo stesso modo anche le fake news sono diventate la compagnia fissa delle nostre giornate. Impossibile non accendere radio e tv o sfogliare un giornale senza incapparci, nonostante tutte le tattiche che mettiamo in atto per seminarle (e non diventarne vittime inconsapevoli).

Eppure la disinformazione è sempre esistita, la differenza è che oggi ha la strada spianata, grazie a internet che si sta rivelando una piattaforma ideale per la diffusione, la moltiplicazione e l’acritico consumo di fatti infondati.

Una cosa che va tenuta a mente, quando si tratta di abbattere la diffusione delle fake news, è che i fatti non ci fanno cambiare idea, nemmeno se suffragati da dati e documenti. Neanche se sono veri e corretti. A dirlo numerosi studi, fra cui quello del 2010 di Nyhan e Reifler: “chi è disinformato non solo rimane ancorato alle proprie opinioni, anche se confutate, ma tende a radicalizzarle fino all’estremizzazione, entrando di fatto in una sorta di stato di difesa dei propri pregiudizi”.

Questo comportamento detto in gergo backfire effect (ritorno di fiamma) porta a rifiutare a priori e a reagire aggressivamente di fronte a tutto ciò che mette in crisi le nostre opinioni: in pratica, combattere la disinformazione con i fatti è come cercare di spegnere con l’acqua un fuoco originato da olio: può sembrare efficace, invece peggiora le cose.

Per confutare la disinformazione, la soluzione si chiama debunking, ma il processo è tutt’altro che automatico in quanto i giudizi errati continuano a condizionare il pensiero, anche una volta corretti.

Fra i maggiori studiosi dei meccanismi di diffusione di disinformazione su internet, Walter Quattrociocchi dell’IMT di Lucca che ha analizzato migliaia di post e interazioni fra utenti su FB, dividendoli in due categorie: quelli a contenuto scientifico e quelli cospirazionisti.

I risultati mostrano l’esistenza di “echo chambers”, comunità polarizzate di utenti che selezionano e condividono contenuti relativi ad un tema specifico, ignorando il resto. La conclusione a cui è arrivato è che i confirmation bias riforniscono queste echo chambre (community) che a loro volta promuovono la diffusione dei contenuti sul social. Ma se le notizie scientifiche tendono a diffondersi all’inizio della loro vita, le dicerie cospirazioniste hanno durata estesa su FB.

Quattrociocchi ha poi esplorato l’apprendimento di notizie analizzando 920 nuovi canali di informazione e 376 milioni di utenti: le persone che prendono informazioni da FB limitano la propria ricerca a pochi siti, nonostante il grande numero di nuove fonti disponibili.

Se alla segregazione nelle community, a cui gli utenti rimangono morbosamente fedeli (a causa di una pseudo sindrome che associa l’herd – gregge -, l’ingroup e il band wagon effect quest’ultimo ci porta a fare nostra un’opinione quando è condivisa da tante persone) si associa l’estrema semplificazione dei contenuti volta a massimizzare il numero di like, ecco che i social diventano il luogo ideale nel quale la disinformazione si può diffondere. Su questo l’università di Harvard mette in guardia perché è ciò che può seriamente danneggiare la deliberazione democratica.

D’ora in avanti quando vi incaponite a difendere una notizia o uno studio scientifico che non avete elaborato o condotto voi, chiedevi la ragione di tanto fervore perchè è probabile che qualche effetto dal nome improbabile si sia attaccato al vostro ragionamento come una fake news ai titoli dei giornali…

TUTTI SAPEVANO. E allo STESSO TEMPO NESSUNO SAPEVA

E’ potente quanto una droga.
E’ una tentazione che il diavolo ci sussurra all’orecchio lasciandoci credere al libero arbitrio.
Soffoca i sensi delle Società che dichiarano di non tollerare predatori, incivili, maniaci, ladri e tiranni, ma continuano a premiarli.
Pietrifica le abitudini e le convinzioni, portandoci a trovare razionalizzazioni e giustificazioni verso i comportamenti contraddittori.

E’ il meccanismo noto come dissonanza cognitiva, messo in evidenza da Leon Festinger nel 1957. Si verifica quando non sopportiamo l’idea di dover cambiare idea e si arresta solo quando, in un modo o in un altro e persino attraverso l’autoinganno, riusciamo a risolvere la contraddizione. Sono dissonante quando sostengo la fedeltà matrimoniale e poi tradisco il coniuge o quando dico che tutti dovrebbero pagare le tasse e poi pago in nero l’idraulico perché così mi fa spendere meno.

E’ il meccanismo del “tutti sapevano e nessuno sapeva”.

Delle donne che hanno protetto, così a lungo, gli abusi del produttore Harvey Weinstein: tutti sapevano. Hollywood sapeva E allo stesso tempo nessuno sapeva.

Dei professori apparentemente rivali, in realtà alleati per spartirsi la ricca torta delle cattedre universitarie in Italia: il triste caso dei concorsi truccati. Tutti sapevano. E allo stesso tempo nessuno sapeva.

Della bimba di 6 anni che si ribella a un adulto di 43 che voleva violentarla, ed è stata buttata giù dall’8° piano. E il fatto non riguarda solo una bambina e un adulto, perché altre bambine erano state violentate. Alcune di queste erano figlie della donna con la quale l’uomo viveva. Tanti sapevano. E allo stesso tempo nessuno sapeva.

Scomodiamo la storia. Degli iscritti al partito nazista di un piccolo paese tedesco che, fra il 1993 e il 1945, non sapevano cosa stesse succedendo agli ebrei, nonostante giorno dopo giorno ne sparissero silenziosamente un numero non trascurabile. Tutti sapevano. E allo stesso tempo nessuno sapeva.

E’ il gioco della politica serpeggiante fra strategie opportunistiche senza futuro e l’abitudine di posizionare nomi e stringere alleanze, prima di delineare progetti e idee.

Sapere di non sapere è quasi una scelta inconscia. E’ il cervello che lo chiede a gran voce. Non tollera l’incoerenza, così si cimenta in aggiustamenti, opera una ristrutturazione cognitiva. Se la dissonanza è debole, abbiamo margini di tolleranza, ma quanto più è forte la sensazione di incoerenza, tanto più cerchiamo soluzioni per eliminarla, ristrutturiamo i nostri pensieri, ci arrampichiamo sugli specchi pur di tornare a sentirci in pace con noi stessi. Siamo bravissimi a raccontarcela, a trovare scappatoie, spiragli etici a nostro uso e consumo, eliminando dal nostro campo visivo ciò che non ci torna. Il tutto in uno stato di coscienza non così cosciente.

Nell’illusione del non sapere che “nel mondo c’è così tanta violenza e menzogna” ci culliamo, finchè accade qualcosa: una donna che trova il coraggio di parlare, un professore che si fa “disubbiente” o un vaso che Pandora scoperchia per curiosità. E così i nostri valori tornano ad essere la nostra stella Polare.

Sono MONOGAMO in TUTTE le mie RELAZIONI. COMPORTAMENTI nella RELAZIONE

La subiamo e la infliggiamo. Dalla notte dei tempi. Eppure l’infedeltà continua a erodere sicurezze, a privare le relazioni di felicità e identità, con una tenacia senza pari. E pur essendo universalmente proibita è allo stesso tempo universalmente praticata. Perché? Perché tradiamo?

Nei secoli agli uomini è stato consensualmente permesso tradire, giustificati da teorie biologiche ed evoluzionistiche le più diverse, ma ciò che realmente accade all’interno di una camera da letto, non si sa. Gli uomini si vantano, dettagliano prestazioni spesso mutuate dalle fantasie, le donne nascondono, negano, minimizzano. Non a caso in molti stati le donne possono ancora essere uccise per adulterio.

“Un tempo monogamia significava una persona per la vita – per usare le parole della terapeuta di coppia Esther Perel – oggi, monogamia significa una persona per volta. Probabilmente molti usano dire sono stato monogamo in tutte le mie relazioni”. In realtà la monogamia non ha nulla a che fare con l’amore. Ma circoscrivere una condizione in continua espansione qual è la infedeltà, diventa complesso, proprio perché non c’è una definizione universalmente riconosciuta.

Più che di una definizione, dovremmo parlare di contraddizione: il 95% delle persone sostiene che è terribilmente sbagliato da parte del partner mentire su un’avventura, ma lo stesso numero dirà che è esattamente quello che farebbe se ne avesse una.

Ciò che è certo è che non è mai stato così facile tradire. Quando il matrimonio era “combinato”, l’adulterio minacciava la sicurezza economica, oggi che è un accordo romantico, l’infedeltà minaccia la sicurezza emotiva. E se un tempo vi si ricorreva per cercare il vero amore, oggi che cerchiamo l’amore nel matrimonio, l’adulterio lo distrugge.

L’infedeltà ci ferisce perché erode l’ideale romantico che abbiamo costruito intorno al matrimonio e rivolgersi a un’altra persona per soddisfare un’infinità di bisogni è l’unico balsamo: essere l’amore più grande, il fidato confidente, il compagno emozionale, il pari intellettuale. E io sono: la prescelta, l’unica, l’indispensabile, l’insostituibile. L’infedeltà mi sbatte in faccia che non lo sono. È il tradimento estremo e che frantuma la grande ambizione d’amore. Se nel corso della storia, l’infedeltà è sempre stata dolorosa, oggi si fa trauma, perché minaccia il nostro senso del sé.

A causa di questo ideale romantico, pretendiamo la fedeltà del partner , pur non essendo mai stati più inclini al tradimento, proprio perché viviamo in un’epoca in cui ci sentiamo autorizzati a rincorrere i nostri desideri, al “mi merito di essere felice”. Se un tempo si divorziava perché eravamo infelici, oggi si divorzia perché potremmo essere più felici. E se il divorzio portava grande vergogna, oggi, scegliere di rimanere quando si può andare è la nuova vergogna.

Perché allora si tradisce?

“I tradimenti sono anche l’espressione di un desiderio e di una perdita – spiega la dr.ssa Perel -. La necessità di trovare un legame emotivo, libertà, autonomia, intensità sessuale, desiderio di riconquistare parti perdute di noi o il tentativo di riportare indietro la vitalità di fronte a una perdita e a una tragedia. La storia sottolinea che quando cerchiamo lo sguardo di un altro non è sempre al partner che voltiamo le spalle, ma alla persona che siamo diventati. Non stiamo cercando tanto un’altra persona, quanto stiamo cercando un altro noi stessi. Chi tradisce lo fa per sentirsi vivo. La morte e la mortalità spesso vivono all’ombra di un’avventura. Alcune storie sono il tentativo di ricacciare indietro la mortalità, un antidoto contro la morte”.

Come si supera un tradimento?

La maggior parte delle coppie che hanno provato il tradimento, non si separano. Alcune sopravvivono, altre riescono a trasformare la crisi in un’opportunità, dando un nuovo ordine al disordine, investendo in una profondità di conversazioni oneste e trasparenti, mai avute prime, con se stessi, e con l’altro. Conoscersi, ascoltarsi, come fosse la prima volta. Iniziando da se stessi. Dare spazio a se stessi. Tutto inizia da qui.

TRE BUFALE da SFATARE sul CERVELLO

 

Non è vero che la parte destra del cervello è creativa e la sinistra razionale.
Non è vero che usiamo solo il 10% delle potenzialità del nostro cervello.
Non è vero che il cervello umano è il più grande in natura.

NON E’ VERO CHE l’emisfero destro è creativo e il sinistro razionale. Il pensiero creativo non è collegato a nessuna area specifica del cervello, l’unica certezza è che la corteccia prefrontale (lobo frontale) si attiva quando si svolgono attività creative. E’ vero però che i due emisferi cooperano costantemente e si scambiano informazioni attraverso una struttura che si chiama corpo calloso. Talvolta sui libri viene fatta questa schematizzazione ma solo a fini didattici. Diverso è confonderla con la realtà.

Ciò che rende una persona particolarmente creativa, hanno dimostrato i ricercatori della Università di Padova e della Duke University (Bayesian Inference and Testing of Group Differences in Brain Networks è il titolo della ricerca), non è l’attività dell’emisfero destro ma l’attività fra i due emisferi.

Diffidate quindi di coloro che promettono di sviluppare le capacità creative del vostro emisfero destro. Se veramente volete esaltare la vostra creatività, leggete, ascoltate musica, viaggiate, visitate mostre e musei. Tutte cose che fanno bene non solo alla creatività ma all’intero cervello.

NON E’ VERO CHE usiamo solo il 10% delle potenzialità del nostro cervello, anche se questo è ciò che erroneamente crede il 50% delle persone, insegnanti compresi. L’idea suggestiva che fa pensare a ognuno di noi di avere un “tesoro” imponente di capacità inespresse, è sensata forse perché ognuno di noi, ogni giorno, si sente troppe volte stanco, apatico, deconcentrato, e facendo il confronto con i momenti più brillanti, sogna di poterne fare la norma. Purtroppo non è così.

Nonostante sia stata smentita più volte dalla ricerca, da ultimo anche dall’università di Cambridge, e risalga probabilmente a un testo tutt’altro che scientifico degli anni ’30, un celeberrimo manuale di Self Help, quest’idea con il suo innegabile potere evocativo continua a circolare nell’immaginario collettivo. Una tentazione ghiottissima anche per il cinema, sempre alla ricerca di spunti suggestivi e di storie che trascendano la quotidianità, come è accaduto con Lucy di Luc Besson.
Il cervello proprio perchè plastico può modificarsi e più lo usiamo più lo aiutiamo a funzionare meglio. Per migliorare le proprie prestazioni occorre esercizio indispensabile per consolidare i percorsi neurali e accrescere le facoltà cognitive

NON E’ VERO CHE il cervello umano è il più grande in natura. Il primato lo detiene il capodoglio con una massa di 7800 grammi. L’essere umano arriva a 1360. Quello che conta in realtà è l’organizzazione al suo interno, quali le aree sviluppate maggiormente rispetto ad altre. A meno che le dimensioni non siano talmente ridotte da impedire un’organizzazione sufficientemente complessa.

I miti spesso nascono per dare un significato ad eventi che non si possono spiegare. Aristotele lo ha spiegato bene: “Quando c’è qualcosa che ti stupisce, è naturale che tu ti chieda perché. Se non trovi una spiegazione soddisfacente, devi cercare ancora, tentando di individuare le cause di ciò che accade”. Forse, c’è sempre e solo stato bisogno di più scienziati

PIU’ uno non SA, PIU’ CREDE di SAPERE. Il PARADOSSO della IGNORANZA

Un commesso di 44 anni, Wheeler McArthur, rapina due banche a viso scoperto in pieno giorno, finendo rapidamente agli arresti. Interrogato riguardo la scelta di non indossare maschere, affermò che si era spruzzato sul viso succo di limone, aspettandosi che ciò lo rendesse invisibile alle telecamere. Alcuni amici gli avevano parlato di questo “trucco” e lui lo aveva verificato: si era applicato del succo di limone in volto per poi scattarsi una fotografia. Con il limone negli occhi non si accorse però di aver inquadrato il soffitto anziché il volto e sicuro del trucco, si presentò tranquillo in banca.

Come si può essere tanto stupidi, starete pensando. E’ la stessa domanda che si sono fatti anche David Dunning e Justin Kruger, psicologi della Cornell University e da cui deriva il nome della distorsione cognitiva (trappola mentale) a causa della quale una persona incompetente lo è a tal punto da non accorgersi di esserlo.

È un tipo di eccessiva fiducia in se stessi che spaventa particolarmente perché non riguarda solo le persone di talento che si sopravvalutano, ma anche persone che pur non avendo nessun talento pensano di averne a dismisura.

Nello scorso articolo abbiamo visto come le persone affette dalla sindrome dell’impostore siano incapaci di valorizzare se stesse e vivere il successo più che meritato con soddisfazione e orgoglio, oggi ci concentriamo sull’effetto opposto: le persone incompetenti non solo non ammettono i propri limiti, ma arrivano a sentirsi superiori valutando erroneamente le proprie prestazioni.

Uno dei motivi per cui di questi tempi l’effetto Dunning-Kruger sembra onnipresente (l’attuale presidente degli States ne è un esempio da manuale), lo si deve anche ai mezzi d’informazione: non solo le persone sono disinformate, ma la loro testa è continuamente riempita di dati, fatti e teorie falsi che possono portare a conclusioni sbagliate che poi sosterranno con tenace sicurezza ed estrema partigianeria.

Nella vita quotidiana è comune vedere persone che parlano con apparente autorità riguardo a temi che conoscono in modo superficiale. Allo stesso tempo, è una consuetudine che i veri esperti non si mostrino troppo categorici nelle proprie affermazioni, poiché sono coscienti di quanto vasto sia il sapere e di quanto sia difficile provare qualcosa con assoluta certezza.

Per capire se abbiamo a che fare con un incompetente inconsapevole, ecco le 4 regole che definiscono l’effetto Dunning-Kruger:
• Le persone si mostrano incapaci di riconoscere la propria incompetenza
• Tendono a non poter riconoscere la competenza delle altre persone
• Non sono in grado di prender coscienza di quanto risultano incompetenti in un determinato ambito
• Se vengono formate affinché aumentino la propria competenza, risulteranno capaci di riconoscere e accettare quanto fossero incompetenti in precedenza

Se incontrate un incompetente siate comprensivi. In fondo le abilità necessarie per compiere bene qualcosa sono le stesse che servono per fare una valutazione della mansione stessa. Come ci si può rendere conto del fatto che si sta facendo male qualcosa se neanche si è consapevoli di quale sia il modo corretto di farla?

NON MERITO il SUCCESSO. L’ERRATA CONVINZIONE delle PERSONE di VALORE

“Se ci sono riuscito io può farcela chiunque. Prima o poi si accorgeranno che non sono bravo come pensano, e che in realtà li ho imbrogliati tutti. Il mio successo? Questione di fortuna, nulla di più”.

Ci sono persone convinte di non meritare il successo, nemmeno quando è la conseguenza di un grande impegno, tanto che continuano a sentirsi indegne del proprio valore nonostante evidenti ed oggettive prove dicano il contrario.

Un esempio è la storia di Nina, studentessa di matematica: ‘‘Ottimo esame. Vorrebbe scriverci una tesi di dottorato? Passi in ufficio nei prossimi giorni, ne parleremo», si complimenta così la docente. La neo laureata in matematica, però, non riesce a rallegrarsi per il complimento. Nella sua testa mulinano pensieri del tipo: «Davvero buona, l’esaminatrice, mi ha chiesto solo cose facili. Sono stata fortunata. Adesso mi guarderò bene dal discutere con lei questioni professionali. Altrimenti si accorgerà che ho bluffato e scoprirà tutto quello che non so». Nina insiste con questi pensieri finché nella sua mente matura una certezza: nonostante l’ottimo esame, non accetterà mai l’offerta di dottorato della docente.

Si chiama “Sindrome dell’impostore” e nessuno ne è immune, colpisce in egual misura studenti, professionisti affermati, dive del cinema, scrittori, musicisti, anche se a soffrirne di più sono le donne (soprattutto quelle che ottengono buoni risultati in ambienti di lavoro a predominanza maschile). Per citare alcuni nomi, ne sarebbero (stati) affetti Jodie Foster, Kate Winslet, Denzel Washington, Emma Watson, la musicista Amanda Palmer, le scrittrici Maya Angelou e probabilmente anche Natalia Ginzburg.

Chi lamenta tale sindrome ha sentimenti specifici, ben descritti dalla consulente del lavoro per l’amministrazione Obama, Alexandra Levit: “senti di non meritare il successo ottenuto, che i traguardi raggiunti sono il frutto della fortuna o della situazione nel posto giusto al momento giusto, invece che del proprio talento, oppure ci si sente un imbroglione che alla fine si rivelerà essere incompetente“.

Fatto curioso è che la sindrome dell’impostore insorge nelle persone effettivamente competenti e brave nel proprio lavoro: “quando uno è un impostore, non si percepisce come tale“. Infatti gli incompetenti, proprio perché sono incompetenti, non si rendono conto dei propri limiti ed errori né delle effettive capacità degli altri, e dunque tendono costantemente a sovrastimare le proprie prestazioni; scomodando Shakespeare “il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio”.

Cosa fare per superare l’empasse dell’impostore?
• fare una lista di tutti i risultati raggiunti e delle motivazioni per cui si è effettivamente qualificati per un determinato lavoro e appenderla in bella vista
• Auto-premiarsi per ogni successo e dire grazie quando si riceve un complimento abbandonando frasi come “figurati, non era importante”; “ma il merito non è (solo) mio”.
• chiedere una seconda opinione. In questo caso è necessario il supporto di un mentore che possa aiutare a vedere i successi sotto una luce obiettiva.
• Scrivere a caratteri cubitali l’insegnamento di Michelangelo: “Se le persone sapessero quanto duramente ho lavorato per ottenere la mia maestria, questa non sembrerebbe così meravigliosa, dopotutto”, abbandonando di fatto la convinzione che solo il talento naturale porta al successo e/o di non possederne affatto.
• Ripetersi e ripetersi ancora “Non sono stato fortunato. Tutto quello che ho ottenuto me lo sono meritato”.

MAKE IT EASY – DECIDERE, con i NUDGE, è SEMPLICE!

Quando prendiamo decisioni, incappiamo inevitabilmente in errori di ragionamento, le cosiddette euristiche e distorsioni cognitive. Ci sono però strategie, “spinte gentili”, che spingono a compiere scelte in modo volontario, verso comportamenti più efficaci ed efficienti per se stessi e la collettività.

Le spinte gentili o nudge sono percorsi cognitivi ed emotivi frutto degli studi delle scienze comportamentali, diventati finalmente celebri grazie al recente conferimento del premio Nobel in economia al prof. Richard Thaler. Thaler da dimostrato la possibilità di architettare scelte migliori partendo dall’evidente presupposto che gli esseri umani sono “Umani”, dotati di euristiche ed emozioni, e non “Econi”, esseri dotati dell’impeccabile valutazione razionale.

Conoscendo gli errori di ragionamento automatici che ci caratterizzano, è possibile creare le condizioni per sviluppare l’ “architettura delle scelte” degli individui con il fine di suggerire e promuovere le migliori scelte possibili. Questi stimoli che fungono da spinte a determinate azioni, sono semplificazioni del processo decisionale.

Imparare a identificare e mediare i principi automatici alla base del Decision Making offre l’opportunità di creare il miglior contesto per favorire determinate scelte a diversi livelli. Una spinta gentile per favorire le scelte: ecco a cosa serve il Nudge

Molte decisioni vengono prese grazie al sistema 1, il pensiero spontaneo che richiede poco o nessun impegno cognitivo, essendo guidato da emozioni immediate e innescato istintivamente dall’ambiente circostante. Il vantaggio del Nudging è proprio l’essere una spinta gentile, consona al proprio funzionamento psicologico. È infatti possibile indirizzare le persone, senza costringerle, ma semplicemente cambiando la modalità di presentazione della scelta.

Per esempio, sebbene desideriamo razionalmente mangiare sano e perdere peso, continuiamo ad acquistare le barrette di cioccolato disponibili nei distributori automatici. Questo tipo di “offerta” si sposa perfettamente con il potere immediato del nostro pensiero automatico del piacere che la barretta ci regala e le persone sono indotte istintivamente ad acquistarla.
Possiamo però promuovere i comportamenti target modificando l’offerta dell’ambiente, attraverso le “spinte gentili”, stimoli semplici in grado di condizionare la risposta dei comportamenti degli utenti.

Essendo il “decision making” basato sul funzionamento dei processi mentali, per lo più impliciti, possiamo aiutare certe decisioni utilizzando stimoli che creino le condizioni propense a determinate scelte, ad esempio variare l’ordine di presentazione delle alternative di scelta o ponendo alcune opzioni come default. Questo è parte di ciò che faccio nel mio lavoro. Pensare strategie di nudging da applicare al mondo aziendale a vari livelli.

Le strategie di Nudging funzionano quindi per aiutarci a fare la scelta migliore tra diverse opzioni, dove spesso i contesti di presentazione sono strutturati in modo da produrre risultati incerti o scarsi.

Il nudge è ovunque: dalle informazioni sui media alla presentazione dei prodotti al supermercato. Mettere a disposizione alcune informazioni o in esposizione alcuni prodotti significa fornire una “architettura delle scelte” che favorisce delle risposte cognitive, emotive e comportamentali. Ogni volta che ci troviamo di fronte alla creazione della presentazione di stimoli che sarà punto di partenza di un percorso decisionale dell’utente, si pone la questione su come organizzarne l’architettura. Pensando a questi problemi in termini di “architettura della scelta”, possiamo lasciarla al caso oppure promuovere un percorso che nel rispetto dell’etica sia consono al raggiungimento di comportamenti target. Possiamo “spingere con gentilezza” gli utenti a seguire determinati percorsi decisionali per scelte migliori, semplificando il processo di scelta, cancellando le complessità inutili.

Validità ed efficacia di questi strumenti è riportata nel rapporto “Mind, Society and Behavior” del World Bank Group dove si evidenzia come i principi alla base del Decision Making possono determinare scelte a comportamentali più funzionali: Thinking automatically, Thinking socially, e Thinking mental models.
A confermare l’importanza dell’applicazione del nudging, il presidente Obama predispose la behavioral insight unit, così David Cameron.

Altri esempi: Dean Karlan, professore a Yale, ha sviluppato Stickk.com, un sito che aiuta le persone a raggiungere i loro obiettivi, come perdere peso o smettere di fumare. Questo sito offre due modi per impegnarsi a raggiungere lo scopo: finanziario e non finanziario. Con gli impegni del primo tipo, l’utente deve scommettere dei soldi e si impegna a raggiungere l’obiettivo entro una certa data. Se l’obiettivo viene raggiunto, ottiene indietro il denaro scommesso. Se fallisce, il denaro va in beneficenza. Con gli impegni non finanziari l’utente non punta denaro ma può comunque essere messo sotto pressione dai suoi amici o familiari che possono monitorare il progresso attraverso dei blog di gruppo.

Un altro modo per aiutare le persone a migliorare le loro decisioni, in particolare rivolto alle ragazze, è l’iniziativa statunitense denominata “un dollaro al giorno” (in inglese: Dollar a day). Uno dei più gravi problemi per molte ragazze statunitensi è rappresentato dalle gravidanze in età adolescenziale. Le statistiche hanno mostrato che le ragazze-madri con già un bambino a carico tendevano a rimanere di nuovo incinte entro un anno o due. Pertanto, per affrontare il problema molte città degli Stati Uniti hanno implementato l’iniziativa chiamata “un dollaro al giorno”: le ragazze-madri con già un bambino a carico avrebbero ricevuto un dollaro per ogni giorno in cui non erano in stato di gravidanza. I risultati sono stati promettenti e il numero delle ragazze rimaste incinte si è ridotto notevolmente. Inoltre, i costi del programma si sono rivelati inferiori rispetto ai sussidi per ragazze madri.

Il Destiny Health Plan è un programma ideato da alcune compagnie di assicurazione statunitensi ed è esplicitamente progettato per dare alla gente un incentivo a fare scelte sane. Un partecipante che decide di intraprendere scelte salutari, come iscriversi in palestra o iscrivere il figlio a una squadra di calcio, può guadagnare “punti vitalità” che possono essere utilizzati per l’acquisto, per esempio, di biglietti aerei o camere d’albergo.

Nudge, quindi, tutta la vita! Make it easy!

METTETE FIORI nei VOSTRI CANNONI… NUDGE in TEMPI non SOSPETTI.

Un mattino gli automobilisti di Bogotà (Colombia) trovarono ai semafori gruppi di clown che piangevano se non ci si fermava con il rosso e che danzavano, offrendo fiori, se si rispettavano le regole.

Ecco uno fra gli esperimenti più noti e riusciti dell’applicazione della politica del cambiamento sociale (un nudge nel vero senso della parola), il cui scopo era prendere apertamente in giro gli automobilisti indisciplinati, rappresentando sul palcoscenico reale della strada cosa volesse dire osservare le regole.

Un esempio che fa riflettere sull’intero sistema normativo, anche italiano: il codice stradale è fondato sull’idea dell’evitare la pena. Ma scappare da una punizione è un’azione di breve respiro, che non porta a modificare i propri comportamenti nel lungo termine. Cosa accadrebbe se, invece di essere puniti per aver infranto delle norme, venissimo premiati per la buona condotta?. Saremmo indotti a proseguire il comportamento virtuoso.

L’idea, spetta all’eclettico filosofo e pedagogo Antanas Mockus, già sindaco di Bogotà, che applicò con successo le teorie sociali nella gestione urbana, in una metropoli di 6 milioni e mezzo di abitanti, piagata da criminalità, traffico e inquinamento. L’azione di mandare dei clown a dirigere il traffico, per i suoi buoni risultati, venne replicata anni dopo, nel 2011, da Carlos Ocariz, capo della Municipalità di Sucre, una delle aree più povere di Caracas (Venezuela).

Applicare le teorie sociali, significa applicare le scienze del comportamento, che hanno portato dapprima allo sviluppo della Behavioral Economics (economia comportamentale) e poi alla nascita dei Nudge team, o Behavioral insight team ossia gruppi di esperti in supporto all’operato governativo e/o privato.

I Nudge team hanno il compito di esplorare, misurare, raccogliere dati, valutare e applicando il metodo scientifico, facilitare, ovvero spingere, indirizzare gentilmente le decisioni delle persone verso opzioni di scelta più in linea con i loro valori, tutelando al contempo la loro libertà di scelta.

La spinta gentile (nudge) può essere applicata in infiniti ambiti: dalla alimentazione alla gestione del traffico, dalla lotta alla evasione fiscale all’aumento della percentuale degli elettori che si recano alle urne, fino ad un più consapevole rapporto con l’ambiente.

Un esempio di politiche di nudging che hanno realmente portato a miglioramenti dei comportamenti sociali è quello spiegato nel sito del governo statunitense (https://www.choosemyplate.gov/) dedicato all’alimentazione, per il quale Cass Sunstein ha realizzato l’immagine di un piatto contenente le giuste percentuali di nutrienti da assimilare durante il giorno. Il passaggio dalla piramide alimentare al piatto ha semplificato l’accesso degli utenti al sito e la comprensione delle informazioni veicolate.

Altri efficaci esempi di Nudge nei prossimi articoli. Nudge: make it easy