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GUIDARE (SENZA GPS) FA BENE AL CERVELLO

Guidare fa bene al cervello, soprattutto se lo si fa in una grande città e senza aiuto di mappe e gps. A dirlo uno studio dell’University College di Londra che ha monitorato il cervello e nello specifico l’ippocampo, l’area della memoria, dei tassisti di Londra.

A bordo dei black cab infatti non troverete né Gps, né piantine della città. I tassisti a Londra conoscono a memoria la mappa della capitale. Preferiscono contare su quanto ricordano a mente piuttosto che sulla tecnologia.

Il risultato dello studio rivela che in questi professionisti l’ippocampo, l’area del cervello fondamentale nella gestione di apprendimento, memoria e stress, è più sviluppato rispetto a quello dei loro colleghi che invece usano il gps di default.

La ricerca dell’University College di Londra, ha seguito due gruppi di autisti. “Fotografando” attraverso tecniche di neuroimaging nel tempo le immagini della struttura dei loro cervelli si è visto che all’inizio della fase di apprendimento delle nozioni, i due gruppi non presentavano differenze sostanziali. Dopo 3-4 anni di formazione sono emerse invece delle differenze: gli autisti di taxi che non fanno uso di gps e mappe, avevano un ippocampo più sviluppato.

LA MEMORIA A LUNGO TERMINE

L’ippocampo svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nella navigazione spaziale, presenta un volume maggiore in animali che sono abituati a nascondere il cibo per recuperarlo in un secondo momento. Partendo da queste osservazioni, la neuroscienziata Maguire, a capo del progetto, ha ipotizzato che studiare i tassisti potesse dare buoni risultati.

Non abbiamo bisogno di utilizzare il Gps. Quando sappiamo che dobbiamo andare in una determinata direzione ci andiamo. Come autista di taxi per noi diventa automatico. Lo facciamo senza pensarci, il nostro cervello è condizionato, spiega Peter Allen, uno dei 20.000 tassisti che lavorano nel Regno Unito.

ASPIRANTI TASSISTI IN TRAINING

All’origine di questa particolarità, secondo gli esperti, la lunga formazione che gli autisti di black cab devono seguire per ottenere la licenza. Un patrimonio chiamato “The knowledge” (la conoscenza) e che deve permettere loro di spostarsi quasi ‘a occhi chiusi’ attraverso le 25.000 strade e stradine di Londra. E al Knowledge point, una delle scuole dove studiano i futuri chaffeur, si respira un’atmosfera severa. Non si scherza. C’è silenzio e concentrazione per permettere agli allievi di prepararsi al meglio. Nulla è lasciato al caso e gli studenti sono sottoposti a innumerevoli simulazioni di percorsi in città, prima di superare l’esame finale. Chi viene promosso può vantarsi di avere una memoria al di sopra della media.

Secondo la professoressa Maguire, i risultati della ricerca sono una ulteriore conferma di come determinati esercizi cognitivi e l’apprendimento intensivo possono modificare la morfologia del cervello anche in età adulta, portando a sviluppare determinate capacità.

QUANDO uno SBAGLIO TIRA l’ALTRO…

Sbagliando si impara, dice un vecchio proverbio. E se da uno sbaglio ne scaturisse un altro?

George Buzzell, psicologo alla Mason University di Fairfax, Virginia, ha monitorato l’attività cerebrale di 23 persone impegnate a svolgere un compito impegnativo: cerchi concentrici lampeggiavano per breve tempo su uno schermo e i partecipanti dovevano rispondere con una mano se si trattava di cerchi dello stesso colore, con l’altra se le tonalità erano diverse.

Dopo un errore, i partecipanti risposero in modo corretto alla domanda successiva se era stato dato loro almeno un secondo di tempo per recuperare. Quando però la domanda successiva veniva somministrata dopo 0,2 secondi dall’errore, la precisione scendeva del 10%. L’attività elettrica registrata dalla corteccia visiva aveva mostrato che i partecipanti facevano meno attenzione alla prova successiva appena fatto l’errore, al contrario di cosa accadeva se avevano risposto correttamente.

Secondo i ricercatori la richiesta cognitiva di notare e processare l’errore sembrava distogliere l’attenzione che, diversamente le persone avrebbero dedicato al compito, come se il cervello fosse andato temporaneamente offline, condizionando la precisione della scelta successiva.

“Solitamente alle persone è dato tempo per riflettere, anche pochi secondi, su un errore – rafforza Jan Wessel, psicologo all’Università dell’Iowa – prima di dover prendere un’altra decisione. Ma in alcune attività, come la guida o il suonare uno strumento musicale, costringono le persone ad avere a che fare con errori in successione molto velocemente, pur continuando ad eseguire correttamente il resto del compito. Queste azioni potrebbero spostare i limiti di elaborazione degli errori”.

Dagli errori, dunque, si può e si deve imparare. Ma non va dimenticato che il cervello necessita di tempo per apprendere l’insegnamento. E quando è di fronte a un flusso rapido e costante di decisioni da prendere, anche una distrazione di un secondo, come quella di notare un errore può diminuire la precisione con cui si fa una scelta successiva. Lo studio, pubblicato sul “Journal of Neuroscience” cambia un altro paradigma.

Sbagliando si impara, se ci si dà il giusto tempo di elaborazione!