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QUALI ABILI NEGOZIATORI sono i BAMBINI (soprattutto a NATALE)

Negoziare è un’arte che i bambini esercitano con implacabile e naturale maestria, come dimostrano gli innumerevoli regali che riescono, con facilità disarmante, ad accumulare sotto l’albero. Ogni Natale.

I bimbi sono negoziatori nati, abili a mettere inconsapevolmente in atto alcune tecniche negoziali estremamente efficaci e, allo stesso tempo, sorprendentemente semplici ma che tendiamo, da adulti, a complicare e rendere innocue.

a. I bimbi non smettono mai di fare domande
Una delle tattiche più utili in una negoziazione di successo è fare domande ogni volta che non si sa o non si capisce. Da “grandi” tendiamo a perdere questa abilità nel timore di sembrare impreparati o incompetenti. Spesso, di fronte a un termine che non conosciamo invece di chiedere delucidazioni, annuiamo, celando il nostro non sapere dietro un apparente sorriso di saggezza.

b. I bimbi non smettono mai di chiedere
Non si fanno molti problemi a palesare ciò che vogliono. Che si tratti di un gioco, attenzioni o la favola della buonanotte. Insomma, di fronte a necessità e desideri i bimbi semplicemente chiedono. Da adulti, perdiamo tale la capacità. In una trattativa negoziale (e così a casa, sul lavoro e con gli amici) anziché chiedere, ricorriamo a inutili sotterfugi, nascondendo le nostre necessità, non facilitando la comprensione alla controparte di ciò di cui realmente abbiamo bisogno. Crediamo, erroneamente, che l’altro possa leggerci nel pensiero.

c. I bimbi non amano il “no” come risposta
Trattano il “no” come l’inizio e non la fine di una trattativa. La loro tendenza è infatti insistere affinchè la risposta cambi a loro vantaggio e nel caso non ci riescano, lotteranno a suon di “perché no?” fino a che la spiegazione non sarà soddisfacente a sostenere il mancato soddisfacimento del bisogno. Attenti dunque a fornire una risposta più che esaustiva e solo così le vostre proposte massimizzeranno i vostri risultati (non solo con i figli).

d. I bimbi sono sensibili alle punizioni
E sono abilissimi a influenzare i comportamenti degli adulti in modo da ottenere una dilazione o uno sconto. Immagino abbiate ben presente l’ultima volta che le urla apocalittiche di vostro figlio vi hanno spinto a sospendere una punizione pur di trovare un po’ di pace…
Ovviamente da adulti non possiamo buttarci a terra disperati di fronte al “no” del capo, ma spesso nelle negoziazioni di tipo commerciale, si ha più la tendenza a proporre la carota anzichè il bastone: ma il bastone rappresenta il costo, per entrambe le parti, del mancato accordo.

e. I bimbi sono esperti nello smascherare i bluff
Sono bravissimi a capire quando le minacce di un adulto non sono veritiere. “Se lo fai un’altra volta, non ti porto più al parco”. Se una minaccia è utilizzata regolarmente ed altrettanto regolarmente non viene eseguita, perde il suo potere, e voi perderete di credibilità e autorevolezza. Per lungo tempo.

Ecco perchè, mediando dal primo assioma della comunicazione, possiamo tranquillamente dire che non si può non negoziare.

SOLITUDINE: ANTICAMERA della CREATIVITA’ e della INNOVAZIONE

Se ne parla molto, di questi tempi. Di solitudine.
Affibbiandole i mali più diversi, dalle cardiopatie, all’insonnia, dalla depressione, all’obesità, fino alla morte prematura.

Eppure la sana solitudine è l’anticamera della creatività e dell’innovazione. Non a caso Schopenhauer scriveva: “i veri grandi spiriti costruiscono, come le aquile, i loro nidi a grandi altezze, nelle solitudine”.

Un tempo l’isolamento poteva risultare pericoloso, ma oggi senza amici, in città, non c’è il rischio di morire di fame o venir sbranati da animali feroci, come poteva invece accadere a un cacciatore, senza amici, nella preistoria.

“Hanno sempre detto che dovrei mostrami più aperta, ma ho capito che essere introversi non è cosa negativa – spiega Susan Cain, nel libro Quiet, the power of introverts in a world that can’t stop talking – Così per anni sono andata in bar affollati, come molti introversi fanno, con una perdita di creatività e di leadership che la nostra società non può permettersi. La solitudine è l’ingrediente fondamentale della creatività. Darwin faceva lunghe passeggiate nei boschi e decisamente respingeva gli inviti ai party. Steve Wozniak ha inventato il computer Apple bloccato nel suo Hewlett Packard. Le società occidentali hanno dimenticato la potenza della vita contemplativa. Fermiamo la follia della ricerca costante del lavoro di squadra. Andate nel deserto per avere intuizioni vincenti”.

La solitudine fa bene anche all’empatia. Studi condotti da Erin Cornwell, della Cornell University (New York) hanno dimostrato che le persone anziane che vivono da sole hanno una rete sociale molto ampia.

Le capacità che però hanno più giovamento dalla solitudine sono la creatività e l’innovazione. Gli esseri umani sono esseri sociali, ma dopo aver trascorso la giornata circondati da persone, passando da una riunione all’altra, attenti ai social, agli smartphone, iperattivi, la solitudine fornisce uno spazio per il riposo ristoratore.

Uno dei risultati più sorprendenti infatti è che la solitudine è alla base della creatività, dell’innovazione e della buona leadership. Uno studio condotto da Mihaly Csikszentmihalyi (lo psicologo della felicità) ha rilevato che gli adolescenti che non sopportano la solitudine non sono in grado di sviluppare talento creativo.

Ammettere di essere soli è una delle cose più difficili, ma oggi sapendo cosa ci guadagniamo accogliendola in modo sano, forse non le saremo più tanto ostili.

DENARO o REGALI? COSA METTERE sotto l’ALBERO?

Gli economisti sconsigliano di far trovare doni sotto l’albero, a Natale, in quanto abitudine (teoricamente) insensata e poco razionale.

Difficile dar loro totalmente torto soprattutto quando aperto il pacco ci si trova per le mani l’ennesimo foulard dai colori improbabili o un irritante maglione di lana riesumato da qualche fondo di magazzino.

Se agissimo come perfetti agenti razionali che non siamo, dovremmo regalare e voler ricevere denaro. A supporto gli studi di T. Ellingsen e M. Johannesson della Stockholm School of Economics, dove in ‘Conspicuous Generosity‘ (Generosità cospicua) stilano un elenco di ragioni per le quali è meglio scartare banconote, a Natale, piuttosto che regali.

L’acquisto dei regali comporta necessariamente dei rischi: il destinatario potrebbe non gradire il presente e, di conseguenza, il mancato piacere porterebbe all’annullamento del valore del dono; la valuta contante, al contrario, consente di acquistare esattamente ciò che si desidera.

Waldfogel, professore di economia applicata alla Carlson School of Management (Università del Minnesota), ha dimostrato che la somma che vorrebbero ricevere le persone al posto dei regali è inferiore rispetto al valore di uno qualsiasi tra i regali ricevuti.

Il discorso, in soldoni, non fa una piega.

Eppure milioni di persone preferiscono spendere i loro soldi nell’irrazionale paradosso del regalo perfetto e, nella maggior parte dei casi “poco utile”.

Il denaro viene associato a valori negativi, spiegano i ricercatori dell’Università svedese: la presenza di denaro spinge di fatto le persone a comportarsi in maniera sconsiderata. Gli individui sono più generosi quando hanno la possibilità di offrire solo il proprio tempo, piuttosto che l’opportunità di donare denaro.

I regali sono la manifestazione d’affetto nei confronti del prossimo e questo spiega il perché, quasi universalmente, i regali di Natale che richiedono tempo e sforzo siano più graditi rispetto a quelli molto costosi.

Tutti i regali rivelano qualcosa di ciò che colui che dona pensa rispetto al destinatario e sono la manifestazione tangibile della comprensione. Il regalo perfetto è ciò che il destinatario realmente desidera, gradisce ed apprezza e che magari non si comprerebbe mai da solo. Alla fine il dono giusto rimane, a dispetto dell’utopica razionalità, quello fatto con il cuore.

La PERSUASIONE OCCULTA nel WEB si CHIAMA CAPTOLOGIA

Influenza il modo in cui pensiamo e agiamo e ci aiuta a risolvere nuovi problemi attraverso nuove soluzioni. Ci ammalia, motiva e convince.
Chi, cosa?

La captologia, quel territorio di indagine dove arte della persuasione e scienza dei computer si mescolano e che comprende la progettazione, la ricerca e l’analisi di prodotti informatici interattivi, come il Web, software per computer, smartphone e apparecchi specializzati, inclusi siti, applicazioni mobili e social network, creati allo scopo di cambiare atteggiamenti o comportamenti delle persone.

A coniare il termine, nel 1996, B.J. Fogg, direttore del Laboratorio di Tecnologia Persuasiva alla Stanford University, derivandolo dall’acronimo Computers As Persuasive Technologies: CAPT.

La persuasione, nel senso della captologia, si riferisce a qualsiasi tentativo atto a provocare “intenzionalmente”, tramite l’interazione uomo-macchina, un determinato cambiamento “volontario” nelle idee e nei comportamenti, senza far uso di inganno o coercizione. Sono esclusi quei cambiamenti che, pur avvenendo a seguito dell’interazione uomo- macchina, non sono stati voluti e intenzionalmente pianificati dal progettista.

L’idea della persuasione subliminale ha origine negli anni 50 con gli “inserti subliminali” nei cinema, poi screditata quando chi la lanciò ammise di aver falsificato le ricerche. L’attuale resurrezione del subliminale, questa volta su computer, si fonda su nuove evidenze dalle neuroscienze che hanno mostrato come ad esempio le parti del cervello deputate all’elaborazione del linguaggio si attivano di fronte a stimoli subliminali contenenti parole.

Non si può non citare alcuni curiosi risultati.

Come quello condotto da M. Cavazza (Teesside University) in cui gli utenti usando al computer una simulazione 3D di un frigorifero, dovevano riempirlo con vari cibi. I ricercatori hanno tentato di influenzarne le scelte inserendo immagini subliminali di cibi. Quando gli utenti reagivano immediatamente dopo lo stimolo subliminale (entro 1 secondo), le loro scelte venivano effettivamente influenzate, mentre se passava più tempo l’effetto andava perso.

Gli stimoli ambientali, quali colori od odori, a cui non siamo soliti attribuire significati persuasivi, possono influenzarci, come hanno dimostrato due ricercatori olandesi, Cees Midden e Jaap Ham. Cambiare il colore delle luce ambientale in base a quanto elevato è il consumo risultante dalla programmazione del termostato, è una strategia efficace per ottenere comportamenti energetici più contenuti. Un’ottima applicazione di nudge, posso aggiungere.

Se invece si vuole persuadere in rete e raccogliere un numero ampissimo di followers? La cosa più valida da fare (come ha dimostrato Genevieve Johnson dell’Università dell’Oklahoma) è:
– millantare un elevato livello di esperienza sul tema che si tratta,
– esprimersi con la sicurezza e chiarezza di chi sa tutto (anche se non è così)
– atteggiarsi ad autorità indiscutibile, e quindi impossibile da contraddire
– e per rafforzare anche i più insensati “ragionamenti”, ricordate di citare qualche (sconosciuto) scienziato o (improbabile) pubblicazione scientifica.

Talvolta o forse troppo spesso purtroppo il Web riesce a dare credibilità anche a persone che non apparirebbero né esperte né autorevoli in un confronto pubblico faccia a faccia ed in tempo reale.

PERCHE’ ci AFFIDIAMO alle FAKE NEWS?

Immancabilmente come i tormentoni musicali da spiaggia, allo stesso modo anche le fake news sono diventate la compagnia fissa delle nostre giornate. Impossibile non accendere radio e tv o sfogliare un giornale senza incapparci, nonostante tutte le tattiche che mettiamo in atto per seminarle (e non diventarne vittime inconsapevoli).

Eppure la disinformazione è sempre esistita, la differenza è che oggi ha la strada spianata, grazie a internet che si sta rivelando una piattaforma ideale per la diffusione, la moltiplicazione e l’acritico consumo di fatti infondati.

Una cosa che va tenuta a mente, quando si tratta di abbattere la diffusione delle fake news, è che i fatti non ci fanno cambiare idea, nemmeno se suffragati da dati e documenti. Neanche se sono veri e corretti. A dirlo numerosi studi, fra cui quello del 2010 di Nyhan e Reifler: “chi è disinformato non solo rimane ancorato alle proprie opinioni, anche se confutate, ma tende a radicalizzarle fino all’estremizzazione, entrando di fatto in una sorta di stato di difesa dei propri pregiudizi”.

Questo comportamento detto in gergo backfire effect (ritorno di fiamma) porta a rifiutare a priori e a reagire aggressivamente di fronte a tutto ciò che mette in crisi le nostre opinioni: in pratica, combattere la disinformazione con i fatti è come cercare di spegnere con l’acqua un fuoco originato da olio: può sembrare efficace, invece peggiora le cose.

Per confutare la disinformazione, la soluzione si chiama debunking, ma il processo è tutt’altro che automatico in quanto i giudizi errati continuano a condizionare il pensiero, anche una volta corretti.

Fra i maggiori studiosi dei meccanismi di diffusione di disinformazione su internet, Walter Quattrociocchi dell’IMT di Lucca che ha analizzato migliaia di post e interazioni fra utenti su FB, dividendoli in due categorie: quelli a contenuto scientifico e quelli cospirazionisti.

I risultati mostrano l’esistenza di “echo chambers”, comunità polarizzate di utenti che selezionano e condividono contenuti relativi ad un tema specifico, ignorando il resto. La conclusione a cui è arrivato è che i confirmation bias riforniscono queste echo chambre (community) che a loro volta promuovono la diffusione dei contenuti sul social. Ma se le notizie scientifiche tendono a diffondersi all’inizio della loro vita, le dicerie cospirazioniste hanno durata estesa su FB.

Quattrociocchi ha poi esplorato l’apprendimento di notizie analizzando 920 nuovi canali di informazione e 376 milioni di utenti: le persone che prendono informazioni da FB limitano la propria ricerca a pochi siti, nonostante il grande numero di nuove fonti disponibili.

Se alla segregazione nelle community, a cui gli utenti rimangono morbosamente fedeli (a causa di una pseudo sindrome che associa l’herd – gregge -, l’ingroup e il band wagon effect quest’ultimo ci porta a fare nostra un’opinione quando è condivisa da tante persone) si associa l’estrema semplificazione dei contenuti volta a massimizzare il numero di like, ecco che i social diventano il luogo ideale nel quale la disinformazione si può diffondere. Su questo l’università di Harvard mette in guardia perché è ciò che può seriamente danneggiare la deliberazione democratica.

D’ora in avanti quando vi incaponite a difendere una notizia o uno studio scientifico che non avete elaborato o condotto voi, chiedevi la ragione di tanto fervore perchè è probabile che qualche effetto dal nome improbabile si sia attaccato al vostro ragionamento come una fake news ai titoli dei giornali…

Sono MONOGAMO in TUTTE le mie RELAZIONI. COMPORTAMENTI nella RELAZIONE

La subiamo e la infliggiamo. Dalla notte dei tempi. Eppure l’infedeltà continua a erodere sicurezze, a privare le relazioni di felicità e identità, con una tenacia senza pari. E pur essendo universalmente proibita è allo stesso tempo universalmente praticata. Perché? Perché tradiamo?

Nei secoli agli uomini è stato consensualmente permesso tradire, giustificati da teorie biologiche ed evoluzionistiche le più diverse, ma ciò che realmente accade all’interno di una camera da letto, non si sa. Gli uomini si vantano, dettagliano prestazioni spesso mutuate dalle fantasie, le donne nascondono, negano, minimizzano. Non a caso in molti stati le donne possono ancora essere uccise per adulterio.

“Un tempo monogamia significava una persona per la vita – per usare le parole della terapeuta di coppia Esther Perel – oggi, monogamia significa una persona per volta. Probabilmente molti usano dire sono stato monogamo in tutte le mie relazioni”. In realtà la monogamia non ha nulla a che fare con l’amore. Ma circoscrivere una condizione in continua espansione qual è la infedeltà, diventa complesso, proprio perché non c’è una definizione universalmente riconosciuta.

Più che di una definizione, dovremmo parlare di contraddizione: il 95% delle persone sostiene che è terribilmente sbagliato da parte del partner mentire su un’avventura, ma lo stesso numero dirà che è esattamente quello che farebbe se ne avesse una.

Ciò che è certo è che non è mai stato così facile tradire. Quando il matrimonio era “combinato”, l’adulterio minacciava la sicurezza economica, oggi che è un accordo romantico, l’infedeltà minaccia la sicurezza emotiva. E se un tempo vi si ricorreva per cercare il vero amore, oggi che cerchiamo l’amore nel matrimonio, l’adulterio lo distrugge.

L’infedeltà ci ferisce perché erode l’ideale romantico che abbiamo costruito intorno al matrimonio e rivolgersi a un’altra persona per soddisfare un’infinità di bisogni è l’unico balsamo: essere l’amore più grande, il fidato confidente, il compagno emozionale, il pari intellettuale. E io sono: la prescelta, l’unica, l’indispensabile, l’insostituibile. L’infedeltà mi sbatte in faccia che non lo sono. È il tradimento estremo e che frantuma la grande ambizione d’amore. Se nel corso della storia, l’infedeltà è sempre stata dolorosa, oggi si fa trauma, perché minaccia il nostro senso del sé.

A causa di questo ideale romantico, pretendiamo la fedeltà del partner , pur non essendo mai stati più inclini al tradimento, proprio perché viviamo in un’epoca in cui ci sentiamo autorizzati a rincorrere i nostri desideri, al “mi merito di essere felice”. Se un tempo si divorziava perché eravamo infelici, oggi si divorzia perché potremmo essere più felici. E se il divorzio portava grande vergogna, oggi, scegliere di rimanere quando si può andare è la nuova vergogna.

Perché allora si tradisce?

“I tradimenti sono anche l’espressione di un desiderio e di una perdita – spiega la dr.ssa Perel -. La necessità di trovare un legame emotivo, libertà, autonomia, intensità sessuale, desiderio di riconquistare parti perdute di noi o il tentativo di riportare indietro la vitalità di fronte a una perdita e a una tragedia. La storia sottolinea che quando cerchiamo lo sguardo di un altro non è sempre al partner che voltiamo le spalle, ma alla persona che siamo diventati. Non stiamo cercando tanto un’altra persona, quanto stiamo cercando un altro noi stessi. Chi tradisce lo fa per sentirsi vivo. La morte e la mortalità spesso vivono all’ombra di un’avventura. Alcune storie sono il tentativo di ricacciare indietro la mortalità, un antidoto contro la morte”.

Come si supera un tradimento?

La maggior parte delle coppie che hanno provato il tradimento, non si separano. Alcune sopravvivono, altre riescono a trasformare la crisi in un’opportunità, dando un nuovo ordine al disordine, investendo in una profondità di conversazioni oneste e trasparenti, mai avute prime, con se stessi, e con l’altro. Conoscersi, ascoltarsi, come fosse la prima volta. Iniziando da se stessi. Dare spazio a se stessi. Tutto inizia da qui.

TRE BUFALE da SFATARE sul CERVELLO

 

Non è vero che la parte destra del cervello è creativa e la sinistra razionale.
Non è vero che usiamo solo il 10% delle potenzialità del nostro cervello.
Non è vero che il cervello umano è il più grande in natura.

NON E’ VERO CHE l’emisfero destro è creativo e il sinistro razionale. Il pensiero creativo non è collegato a nessuna area specifica del cervello, l’unica certezza è che la corteccia prefrontale (lobo frontale) si attiva quando si svolgono attività creative. E’ vero però che i due emisferi cooperano costantemente e si scambiano informazioni attraverso una struttura che si chiama corpo calloso. Talvolta sui libri viene fatta questa schematizzazione ma solo a fini didattici. Diverso è confonderla con la realtà.

Ciò che rende una persona particolarmente creativa, hanno dimostrato i ricercatori della Università di Padova e della Duke University (Bayesian Inference and Testing of Group Differences in Brain Networks è il titolo della ricerca), non è l’attività dell’emisfero destro ma l’attività fra i due emisferi.

Diffidate quindi di coloro che promettono di sviluppare le capacità creative del vostro emisfero destro. Se veramente volete esaltare la vostra creatività, leggete, ascoltate musica, viaggiate, visitate mostre e musei. Tutte cose che fanno bene non solo alla creatività ma all’intero cervello.

NON E’ VERO CHE usiamo solo il 10% delle potenzialità del nostro cervello, anche se questo è ciò che erroneamente crede il 50% delle persone, insegnanti compresi. L’idea suggestiva che fa pensare a ognuno di noi di avere un “tesoro” imponente di capacità inespresse, è sensata forse perché ognuno di noi, ogni giorno, si sente troppe volte stanco, apatico, deconcentrato, e facendo il confronto con i momenti più brillanti, sogna di poterne fare la norma. Purtroppo non è così.

Nonostante sia stata smentita più volte dalla ricerca, da ultimo anche dall’università di Cambridge, e risalga probabilmente a un testo tutt’altro che scientifico degli anni ’30, un celeberrimo manuale di Self Help, quest’idea con il suo innegabile potere evocativo continua a circolare nell’immaginario collettivo. Una tentazione ghiottissima anche per il cinema, sempre alla ricerca di spunti suggestivi e di storie che trascendano la quotidianità, come è accaduto con Lucy di Luc Besson.
Il cervello proprio perchè plastico può modificarsi e più lo usiamo più lo aiutiamo a funzionare meglio. Per migliorare le proprie prestazioni occorre esercizio indispensabile per consolidare i percorsi neurali e accrescere le facoltà cognitive

NON E’ VERO CHE il cervello umano è il più grande in natura. Il primato lo detiene il capodoglio con una massa di 7800 grammi. L’essere umano arriva a 1360. Quello che conta in realtà è l’organizzazione al suo interno, quali le aree sviluppate maggiormente rispetto ad altre. A meno che le dimensioni non siano talmente ridotte da impedire un’organizzazione sufficientemente complessa.

I miti spesso nascono per dare un significato ad eventi che non si possono spiegare. Aristotele lo ha spiegato bene: “Quando c’è qualcosa che ti stupisce, è naturale che tu ti chieda perché. Se non trovi una spiegazione soddisfacente, devi cercare ancora, tentando di individuare le cause di ciò che accade”. Forse, c’è sempre e solo stato bisogno di più scienziati

METTETE FIORI nei VOSTRI CANNONI… NUDGE in TEMPI non SOSPETTI.

Un mattino gli automobilisti di Bogotà (Colombia) trovarono ai semafori gruppi di clown che piangevano se non ci si fermava con il rosso e che danzavano, offrendo fiori, se si rispettavano le regole.

Ecco uno fra gli esperimenti più noti e riusciti dell’applicazione della politica del cambiamento sociale (un nudge nel vero senso della parola), il cui scopo era prendere apertamente in giro gli automobilisti indisciplinati, rappresentando sul palcoscenico reale della strada cosa volesse dire osservare le regole.

Un esempio che fa riflettere sull’intero sistema normativo, anche italiano: il codice stradale è fondato sull’idea dell’evitare la pena. Ma scappare da una punizione è un’azione di breve respiro, che non porta a modificare i propri comportamenti nel lungo termine. Cosa accadrebbe se, invece di essere puniti per aver infranto delle norme, venissimo premiati per la buona condotta?. Saremmo indotti a proseguire il comportamento virtuoso.

L’idea, spetta all’eclettico filosofo e pedagogo Antanas Mockus, già sindaco di Bogotà, che applicò con successo le teorie sociali nella gestione urbana, in una metropoli di 6 milioni e mezzo di abitanti, piagata da criminalità, traffico e inquinamento. L’azione di mandare dei clown a dirigere il traffico, per i suoi buoni risultati, venne replicata anni dopo, nel 2011, da Carlos Ocariz, capo della Municipalità di Sucre, una delle aree più povere di Caracas (Venezuela).

Applicare le teorie sociali, significa applicare le scienze del comportamento, che hanno portato dapprima allo sviluppo della Behavioral Economics (economia comportamentale) e poi alla nascita dei Nudge team, o Behavioral insight team ossia gruppi di esperti in supporto all’operato governativo e/o privato.

I Nudge team hanno il compito di esplorare, misurare, raccogliere dati, valutare e applicando il metodo scientifico, facilitare, ovvero spingere, indirizzare gentilmente le decisioni delle persone verso opzioni di scelta più in linea con i loro valori, tutelando al contempo la loro libertà di scelta.

La spinta gentile (nudge) può essere applicata in infiniti ambiti: dalla alimentazione alla gestione del traffico, dalla lotta alla evasione fiscale all’aumento della percentuale degli elettori che si recano alle urne, fino ad un più consapevole rapporto con l’ambiente.

Un esempio di politiche di nudging che hanno realmente portato a miglioramenti dei comportamenti sociali è quello spiegato nel sito del governo statunitense (https://www.choosemyplate.gov/) dedicato all’alimentazione, per il quale Cass Sunstein ha realizzato l’immagine di un piatto contenente le giuste percentuali di nutrienti da assimilare durante il giorno. Il passaggio dalla piramide alimentare al piatto ha semplificato l’accesso degli utenti al sito e la comprensione delle informazioni veicolate.

Altri efficaci esempi di Nudge nei prossimi articoli. Nudge: make it easy

VENERDI’ 13 MENO MALE che ci sei

Nella cultura europea ed americana il numero 13 è visto con riluttanza e molte compagnie aeree sono state costrette, nel corso degli anni, a cancellare la fila e il numero di volo a causa delle proteste dei passeggeri e di alcuni incidenti associati alla cattiva sfortuna.

Nella cultura asiatica il numero incriminato è il 4: in mandarino si pronuncia “sì”, pericolosamente vicino a “shi” che significa morte. Negli alberghi gestiti da cinesi, non ci sono nè il quattro nè il 44° piano. Un ricercatore ha addirittura scoperto che fra i cittadini americani di origine cinese gli attacchi di cuore aumentano fino al 13% il quarto giorno del mese; in California, dove l’influenza cinese è particolarmente importante, si arriva al 27%.

Di contro, l’8 è fortunato (la parola indica un suono simile a ricchezza), questo spiega l’apertura dei giochi di Pechino alle 8:08:08 pomeridiane dell’8.08.08.

Per mitigare l’effetto superstizione, applicare rituali è per il nostro cervello (e la nostra ansia) un antidoto naturale e spesso inconsapevole. La convinzione è che attraverso determinati comportamenti sia possibile manipolare il futuro, nonostante non esista alcuna relazione causale rilevabile fra i rituali e i loro supposti esiti.

Superstizione e rituali sono collegati scientificamente al bisogno umano di controllo: “Se si annulla l’impressione di possedere il controllo, sia gli esseri umani sia gli animali subiscono stress – spiega il prof. Bruce Hood, dell’Università di Bristol – Durante la Guerra del Golfo, nel 1991, nelle aree attaccate dai missili Scud si è verificato un aumento delle credenze superstiziose”.

“Ho la sensazione che le probabilità di essere colpito durante un attacco missilistico sono maggiori se nel rifugio è presente una persona la cui casa è stata colpita”, riferiva un militare israeliano sottoposto a indagine per studiare la correlazione fra superstizione e credenze. Mentre un altro spiegò che era convinto di correre meno rischi di essere ucciso se entrava nel rifugio con il piede destro prima di quello sinistro.

Razionalmente nessuna di queste convinzioni ha senso, ma se sono vantaggiose per il nostro benessere mentale e se i rituali correlati danno l’illusione del controllo, Venerdì 13 ben venga!

IL PIACERE DELLA PAURA

“L’ultimo uomo rimasto sulla Terra siede da solo in una stanza. Qualcuno bussa alla porta”.

Spaventati ? 
o
Divertiti ?

La paura è una emozione interessante e non del tutto spiacevole. Ricordate il gelido brivido lungo la schiena durante la visione di un film dell’orrore o la lettura di un incipit come quello che proposto qui, in apertura (erroneamente attribuito a Stephen King, anzichè a Fredric Brown): un brillante esempio di come usare la suspense nello spazio di un respiro.

Quel brivido è paura e l’essere umano adora essere spaventato.

Per quanto appaia illogico, c’è la biologia alla base della attrazione verso la paura. La paura stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del “combatti o fuggi”. Riflesso che a sua volta produce epinefrina, un altro ormone, responsabile della sensazione di piacere estremo.

Il sangue affluisce ad arti e muscoli, privandone il cervello e rendendoci incapaci di pensare lucidamente: la paura è un persuasore molto efficace. Un esempio? L’abuso di psicofarmaci, medicine, detergenti antibatterici e via dicendo. Spesso l’acquisto del prodotto (antidoto) è per il nostro cervello l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione.

Pensiamo a ciò che ci spaventa: perdere il lavoro, non riuscire a pagare il mutuo, essere lasciati, la solitudine, non avere amici, non essere all’altezza, ammalarci di cancro, guidare, volare, l’effetto serra, il buio, il virus della mucca pazza, ingrassare, perdere i capelli, il mercurio nel pesce, gli ormoni nella carne, il terremoto, non essere al sicuro, che i nostri figli vengano rapiti, non essere alla moda, non essere sufficientemente intelligenti, essere noiosi, venir dimenticati e chi più ne ha più ne metta…

Molti brand sfruttano (generando e amplificando) queste ed altre innumerevoli paure, quelle che gli antropologi chiamano “paure panoramiche”, spingendoci a comprare ogni sorta di “antidoti”. Avete presente il gel igienizzante per le mani (i cui slogan assicurano di proteggerci dal contagio di qualsiasi germe)?

La spinta all’acquisto l’hanno data la paura di contrarre la SARS (la sindrome respiratoria acuta grave) e l’influenza suina (causata dal virus H1N1), eppure i gel antibatterici non prevengono nè la suina nè la SARS. Entrambi i virus infatti si propagano per via orale (tramite starnuti e tosse delle persone già infette), nonostante questo l’idea di un contagio invisibile e potenzialmente mortale ha scatenato una vera e propria mania per gli antibatterici…

Ben venga dunque la paura e anche se da un lato è utile perchè ci coalizza contro un nemico comune, non dimentichiamo che è allo stesso tempo capace di creare legami in modo perverso quanto piacevole (l’acquisto libera, ricordate, l’ormone della gratificazione…).

Buon spavento a tutti