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COSA fai QUANDO TROVI un PORTAFOGLIO?

Ho una buona notizia: siamo altruisti più di quanto pensiamo.

Mi spiego meglio: se perdete il portafoglio avete, in Italia, il 50 per cento di possibilità che vi venga restituito. Soprattutto se è pieno di soldi.

In pratica, più il portafoglio è ricco, più i cittadini di molti Paesi del mondo si sentono in dovere di restituirlo al legittimo proprietario. La percentuale è variabile e cresce in funzione della quantità di denaro presente all’interno. A dirlo una ricerca pubblicata su Science: condotta dalle Università di Zurigo, Michigan e Utah, che ha preso in esame 355 città di 40 nazioni in tutto il mondo, Italia compresa.

Camuffati da anonimi passanti, i ricercatori sono entrati in banche, teatri, musei, uffici postali, hotel e stazioni di polizia, per consegnare un portafoglio, dicendo di averlo trovato casualmente per strada e chiedendo di restituirlo al proprietario di cui erano presenti alcuni documenti personali, una lista della spesa e a volte dei contanti di valore variabile.

Contro ogni previsione, è emerso che le persone interpellate provavano a rintracciare il proprietario del borsellino soprattutto se conteneva denaro: la probabilità era tanto più alta quanto maggiore era il valore economico in esso contenuto. In media, su scala globale, è stato restituito il 40% dei portafogli vuoti, il 51% di quelli che contenevano pochi spiccioli e il 72% di quelli più gonfi di denaro.

Un risultato assolutamente controintuitivo, perché l’etica in questo caso va a confliggere con l’interesse economico personale. Secondo ulteriori indagini, la maggior parte delle persone si comporta onestamente, soprattutto davanti a grandi cifre, non per altruismo, ma perché teme di essere considerata al pari di un ladro, distruggendo l’immagine auto percepita di sé come di una persona onesta.

Lo studio è illuminante insomma, perché mostra che sebbene la violazione di una regola comporti un vantaggio economico, come il guadagno di una somma di denaro, d’altra parte determina anche un costo personale che non tutti e non sempre siamo disposti a pagare: la distruzione dell’immagine che abbiamo di noi stessi come di persone oneste.

Il nostro comportamento è tanto più etico quanto più è integerrima l’immagine che ci siamo costruiti e questo dipende dal posto e dal modo in cui siamo cresciuti e dagli insegnamenti che abbiamo ricevuto. E’ un fatto culturale.

Dallo studio emerge poi una vera e propria classifica dei Paesi più onesti: in Svizzera è stato restituito l’80% dei portafogli con soldi; in Cina poco più del 20%, l’Italia è a metà strada, intorno al 50%, insieme a Grecia e Cile.

Le ABITUDINI si POSSONO MODIFICARE ma… NON nel MODO in cui PENSI. Dai retta, per una volta, alle Neuroscienze

Da tempo pseudo guru, formatori improvvisati e coach della domenica ci tormentano, cercando di farci credere sostanzialmente due cose: 1) la formazione è la panacea di tutti i mali 2) se si vuol avere successo bisogna uscire dalla propria zona di confort.

Mi dispiace, soluzione sbagliata.

A dirlo ovviamente non sono io, ma la scienza, le Neuroscienze. Vi spiego in cosa, guru, formatori e coach improvvisati sbagliano. Possiamo seguire i migliori corsi di formazione sul mercato, modellare i leader che riteniamo di riferimento alla nostra crescita, ma rimanere con le stesse abitudini di sempre.

PERCHE’ ACCADE QUESTO?

Il cervello è neofobico, non ama le novità. Non a caso le attività cerebrali rispondono a due necessità basilari: assicurare la sopravvivenza e contenere il dolore. E per farlo si avvalgono di due strategie: ripetizione e velocità. La velocità si ottiene con la spontaneità e l’automatizzazione nel percepire ciò che ci accade secondo dopo secondo, senza metterlo in discussione. La ripetizione si ottiene con l’avversione (emotiva e cognitiva) verso ciò che è sconosciuto e nuovo.

Questo è possibile perché il 95% delle strutture neurali operano in modo automatico, in assenza di valutazione e calibrazione di ciò che vediamo, ascoltiamo, sentiamo e pensiamo. Altrimenti sarebbe impossibile decodificare ogni informazione con cui entriamo in relazione e processare le circa 15 mila decisioni a cui quotidianamente siamo chiamati.

Inoltre il cervello non è disponibile a cambiare in modo incondizionato. Accetta sì abbastanza di buon grado quei cambiamenti che sono allineati alle esperienze e alle credenze a cui già è abituato, e impara nuovi modi di pensare e di agire solo quando questi non richiedono di andare contro le abitudini cognitive ed emotive già strutturate.

Quando gli si chiede o impone di cambiare comportamenti per andare verso altre abitudini di cui non ha esperienza, il cervello erge muri difensivi belli spessi, chiudendosi, per usare una metafora, in una sorta di castello super fortificato e quasi inespugnabile.

In parole semplici: tutta la motivazione del mondo nel modificare un comportamento avrà presa come neve al sole se va in conflitto con le abitudini consolidate e cristallizzate nei circuiti sinaptici.

DUBBIO E AUTOCONTROLLO

Una soluzione per fortuna c’è. Grazie alla presenza nella corteccia pre-frontale di un circuito che mette a disposizione due risorse: il dubbio e l’autocontrollo.

Il dubbio ci permette di dare vita a nuove idee e a percepire la realtà in modo diverso da come l’abbiamo sempre vista. Da solo però, non è sufficiente per contrastare i circuiti sinaptici cristallizzati. Occorre anche l’autocontrollo, la forza di volontà, importante nel rallentare le abitudini.

L’autocontrollo è indispensabile per frenare il pilota automatico della spontaneità. Per cambiare abitudini deve però essere pervasivo, costante nel tempo e ben radicato. Così da modificare i circuiti sinaptici esistenti, sostituendoli con quelli nuovi.

Tutto questo cosa ci dice? Che per avviare il cambiamento nelle persone, che sia a livello personale sia aziendale, occorre guardare in direzioni diverse da quelle dei normali corsi di formazione. Diventati abitudine non solo nel modo in cui vengono espletati, ma per i nostri stessi circuiti cerebrali. Automatici, e incapaci di stuzzicare il dubbio e far attivare la consapevolezza.

Dobbiamo ricordare una lezione importante che viene dalle Neuroscienze. Dire o pretendere che una persona, un collega, un dipendente, un cliente, un paziente cambi, equivale a far entrare la mente di quella stessa persona in conflitto con se stessa.

Ecco la contraddizione in termini.

Cambiare non è un conflitto che si fa nascere verso colleghi, dipendenti, clienti, pazienti, non è uno sforzo che va in direzione contraria alla realtà esterna. Cambiare è uno scontro fra due strategie neurali presenti all’interno del nostro cervello.

Ben diverso cioè da come ci è sempre stato insegnato, detto, proclamato a gran voce da chi di Neuroscienze e cervello sa quello che può aver imparato spulciando quale nozione qua e là, o seguendo qualche corso tenuto da formatori improvvisati (almeno su questi temi).

Se veramente si vuole spingere verso il cambiamento qualcuno, e solo se ce lo chiede, ecco 5 domande che potrebbero essere utili e non invasive (per il cervello).

– I comportamenti che voglio attivare, vanno contro le abitudini di quella persona?

– Se sì, quanto?

-La resistenza che quella persona deve fare valgono lo sforzo? O fa solo bene a me, promotore del cambiamento a tutti i costi?

– In che modo posso innescare il dubbio, affinchè la persona veda quell’abitudine come obsoleta o poco funzionale? E sia quindi spinta a modificarla?

– Come posso nel tempo sostenere la nuova abitudine? Come posso far sì che la perseveranza non venga meno di fronte all’estenuante resistenza che i vecchi circuiti opporranno verso il nuovo?

Come vedete, il cambiamento è qualcosa di molto più personale di quello che si crede. Le abitudini ci regalano sicurezza e lasciarle è un po’ come abbandonare qualcosa di caro.. provate, a togliere la coperta a Linus e vedrete come reagisce. Cambiare per cambiare non serve. Ogni cambiamento, soprattutto a livello aziendale, deve essere frutto di una analisi profonda e ben motivata. Solo allora si potrà chiedere a chi, per quella azienda lavora, uno sforzo. E lo faranno se lo credono efficace e funzionale. Ma se il cambiamento che richiedete è schizofrenico, dettato dalle mode del momento e poco sostenuto da ragioni anche e soprattutto razionali, lasciate stare. Questa volta, accettate il consiglio.

NUDGE QUESTI SCONOSCIUTI: strategie per rendere semplici scelte complesse

“Carne: abbiamo una bella bistecca pesante, oppure agnello, rognone, fegato fritto intriso, impanato. Altrimenti pesce: abbiamo rombo grasso grasso, oppure baccalà porchettato intriso, unto al Grand Marnier, altrimenti un salmone magro”.

E’ così che Roberto Benigni, nelle vesti di un cameriere, presenta a un importante cliente entrato al ristorante in orario di chiusura, il menù. Una tortuosa lista di cibi, sapendo però che in cucina c’è solo salmone e insalata. Ma il modo in cui snocciola una dopo l’altra le diverse alternative, orienterà il cliente verso l’unica soluzione disponibile: il salmone.

Era il 1999, nelle sale usciva La vita è bella e di Nudge ancora non si parlava. Eppure questo simpatico esempio ben rappresenta la strategia che diciotto anni più tardi regalerà il Nobel per l’economia a Richard Thaler, il papà dei nudge.

LE SPINTE GENTILI

Se nel film, Benigni, si trova costretto a orientare il cliente, per forza di cose, verso l’unica soluzione possibile, i Nudge hanno un obiettivo meno commerciale e più funzionale al benessere individuale e collettivo sia in termini di salute, soldi e sia di felicità: aiutarci a preferire l’opzione migliore fra le diverse alternative possibili ma senza sforzo e fatica.

I nudge sono infatti un modo di pensare, una strategia pensata per rendere semplici scelte complesse.

In italiano la parola nudge può essere tradotta come spinta gentile ed è un approccio tutt’altro che casuale, accettato anche dai più scettici, perché validato da poderose ricerche scientifiche.

Quando ci troviamo a prendere una decisione, la maggior parte delle volte lo facciamo affidandoci più al nostro istinto che alla nostra razionalità. Se fossimo totalmente razionali, probabilmente sceglieremmo sempre la dieta giusta, il programma di allenamento più funzionale ai nostri obiettivi, non fumeremmo, non consumeremmo alcolici, non consulteremmo lo smartphone mentre siamo alla guida, valuteremmo nel dettaglio pro e contro di un’eventuale offerta di lavoro, scegliendo infine quella, sulla carta, meno rischiosa per noi e con i benefici più grandi. E ci innamoreremmo solo dopo aver attentamente vagliato ogni alternativa.

Ma non è così che ci comportiamo nel quotidiano. Siamo facilmente influenzabili, cediamo alle tentazioni e, sappiamo che al cuor non si comanda: non è possibile scegliere sempre e solo l’opzione migliore. Anzi, soprattutto in amore spesso andiamo in tutt’altra direzione… per non parlare della nostra capacità analitica quando parliamo della nostra squadra sportiva… del cuore.

È così che, per far sì che le persone prendano decisioni migliori – per il proprio benessere in primis, ma anche per la società in generale – alle volte serve loro un piccolo aiuto, una “spintarella”, un nudge appunto.

METTI UNA MOSCA IN AEROPORTO

Hai mai sentito la storia della mosca nei bagni dell’aeroporto di Amsterdam?

E’ stato sufficiente applicare l’adesivo di una mosca in ogni orinatoio maschile dell’aeroporto di Schiphol per far sì che la quantità di urina finita sul pavimento diminuisse dell’80%. Un dato che si è tradotto in una minore necessità di interventi di pulizia dei bagni e, di conseguenza, un significativo risparmio sui prodotti di disinfezione e detersione. Un effetto domino che ha portato enormi benefici all’aeroporto e ai suoi dipendenti in primis e ai passeggeri che dovevano utilizzare i bagni, poi. Non è un caso che le mosche si trovino oggi in molti altri bagni pubblici in giro per il mondo.

Le nostre scelte non avvengono nel vuoto: scegliamo sempre all’interno di contesti e architetture ben definite, anche se non ne siamo troppo consapevoli. E il modo in cui questi ambienti sono progettati influenza in modo evidentissimo le nostre decisioni, spingendoci in una direzione piuttosto che un’altra.

BANCHE E SCONTRINI

Qualche anno fa alcune banche spostarono il pulsante per richiedere lo scontrino, dopo un prelievo al bancomat, dall’angolo in basso a destra a quello in basso a sinistra dello schermo. Migliaia di euro buttati al vento? Assolutamente no.

Questa semplice modifica ha consentito alle banche di risparmiare milioni e milioni di scontrini, di carta e toner. Come?

La morfologia del nostro corpo, il nostro essere destrimani nella maggioranza dei casi, ci porta a scegliere più frequentemente un’opzione se questa si trova a destra dello schermo, così come a prestare più attenzione alle pagine dispari di un giornale, quelle che si trovano sulla destra. Le opzioni sono sempre lì a disposizione (selezionare “sì”, oppure “no” per richiedere o meno lo scontrino), non scappano, ma il modo in cui sono presentate, ci spinge a preferirne una piuttosto che un’altra.

Per risparmiare l’Istituto bancario poteva fare altre scelte, come quello di non erogare più scontrini, o farli pagare, ma in questo modo non sarebbe stato un nudge. I nudge infatti non vietano o riducono le scelte, ma presentano le alternative più funzionali al nostro benessere, al nostro portafoglio e per l’ambiente in modo che sia più facile sceglierle. La banca ha scelto di modificare l’architettura di quella scelta specifica, lasciando ai pasionari dello scontrino, la possibilità di continuare a richiederlo, ma spingendo in modo gentile gli altri, a richiederlo meno di frequente o solo quando è strettamente necessario. Se ci pensate bene, la maggior parte delle volte che lo richiediamo, finiamo poi con il gettarlo prima ancora di esserci allontanati dallo sportello.

I nudge ci lasciano liberi di scegliere l’opzione che preferiamo, ma rendono più attrattiva l’alternativa maggiormente conveniente e funzionale al nostro benessere, al nostro portafoglio, alla nostra salute, alla nostra produttività, alla nostra felicità e al pianeta.

SCELTE CHE VALGONO UNA VITA

Una delle spinte maggiormente efficaci per promuovere comportamenti virtuosi è l’utilizzo strategico dell’opzione di default. Un caso esemplare è quello della donazione di organi.

Se confrontiamo la percentuale di donatori di organi nei diversi Paesi europei, si vede che questa non è influenzata dalle opinioni individuali o dalla cultura di appartenenza, ma dalla modalità con cui è strutturato il modello di adesione al programma di donazione. Nei Paesi in cui il cittadino deve fornire un consenso esplicito per donare gli organi, la percentuale di donatori risulta molto bassa. Di contro, nei Paesi in cui il cittadino è automaticamente incluso nel programma di donazione e, al contrario, il dissenso alla donazione deve essere fornito attivamente, la percentuale di donatori è al di sopra del 90%.

Applicare l’opzione di default significa impostare un’opzione che verrà scelta automaticamente, a meno che le persone scelgano attivamente di comportarsi in modo diverso. Nella vita quotidiana la troviamo ad esempio, negli smartphone e nei dispositivi digitali, venduti con impostazioni predefinite che possiamo scegliere o meno di cambiare. I sensori di movimento sono semplici strategie per evitare sprechi di energia: fanno in modo che la luce si spenga automaticamente ogni qualvolta il sensore non rivela la presenza di persone nell’ambiente. In questo modo, i rilevatori di movimento creano l’equivalente di un valore predefinito.

Così come le impostazioni del computer spengono l’apparecchiatura quando non è in uso dopo un lasso di tempo stabilito. Carte di imbarco e badge per congressi, come altri strumenti di identificazione, possono essere sostituiti nelle finalità da smartphone e tablet e stampati solamente su richiesta. La copia elettronica della fattura è ormai divenuta la regola e quella cartacea un optional su richiesta. Sempre più spesso sono offerti incentivi con punti premio sulle carte fedeltà per acquisti effettuati senza fornitura di imballaggio nei supermercati e nel circuito del piccolo commercio.

ABBONARSI DI DEFAULT

Molti abbonamenti vengono rinnovati automaticamente a meno che non si decida attivamente di annullare l’iscrizione. Questa stessa scelta può essere posta in due modi differenti: allo scadere dell’abbonamento è possibile rinunciare all’offerta, per non ritrovarsi abbonati automaticamente; oppure, è possibile esplicitamente richiedere di continuare ad aderire. Queste due opzioni, sono logicamente equivalenti, ma a causa della nostra passione per la scelta di non scegliere, tenderemo a non modificare la nostra adesione iniziale: ci troveremo quindi, nel primo caso, iscritti, mentre nel secondo caso non iscritti. Per questo le imprese, in questi casi e in molti altri simili, preferiscono porre le questioni nella seconda forma. Perché così non scegliamo e finiamo per pagare beni e servizi dei quali avremmo fatto tranquillamente a meno. Ma in questo caso non stiamo parlando di nudge ma di sludge!


NUDGE VS SLUDGE

Gli sludge (una parola inglese che significa, non a caso, fango), a differenza dei nudge presentano opzioni di scelta che avvantaggiano chi li propone e scoraggiano ad attuare comportamenti che invece sono nell’interesse della persona, come reclamare un rimborso, cancellarsi da una newsletter e fare reclamo, come ben dettaglio nel libro “Nudge Revolution, la spinta gentile per rendere semplici scelte complesse”. 

Sebbene possano sembrare simili, i nudge rispetto gli sludge cercano di incoraggiare il cambiamento per favorire scelte virtuose, per il nostro benessere, il nostro portafoglio, per la nostra felicità, produttività e per il pianeta. Se sei in dubbio, chiediti quanto sia semplice e libera la tua scelta e saprai subito se ti trovi di fronte a un nudge o a uno sludge.

Architettare dei nudge, non è complesso. Spesso infatti sono sufficienti piccole modifiche al contesto per ottenere grandi risultati. Un esempio? Sostituire in azienda i dispenser contenenti merendine e cibo ipercalorico con contenitori trasparenti con frutta fresca e noci ben visibili. Banale? Decisamente… Eppure questo piccolo accorgimento adottato negli uffici di Google a New York, ha permesso di ottenere risultati impressionanti, come ridurre del 30% le calorie totali consumate dai dipendenti, eliminare una percentuale di grasso del 40% negli snack; indurre i dipendenti a consumare 3,1 milioni di calorie in meno in sole 7 settimane di esperimento.

Rendere semplici scelte complesse dunque si può, con i Nudge!

https://magazine.darioflaccovio.it/2019/11/14/nudge-questi-sconosciuti-strategie-per-rendere-semplici-scelte-complesse/

 

Sei TU a SCEGLIERE CHI VOTARE? O la tua IRRAZIONALITA’…

A poche ore dall’apertura dei seggi, è importante che vi metta in guardia dalla vostra irrazionalità e da come questa potrà influenzare il vostro voto.

Il voto, non è così pensato, ragionato e non condizionato come ci piace credere. Già solo il luogo in cui è posizionato il seggio può influenzare la casella che andremo a sbarrare.

Quando siamo chiamati a votare su iniziative di finanziamento scolastico, per esempio, siamo più propensi a votare a favore se il seggio è ubicato in una scuola o in un ospedale.

Come già si sa (anche se ce lo dimentichiamo), non ci comportiamo in modo razionale. Pur essendo dotati di ottime capacità cognitive, non siamo in grado di ponderare correttamente le informazioni e incappiamo in bias ed emozioni finendo di non compiere sempre la scelta migliore.

SCELGO O RIFIUTO?

A influenzare le nostre preferenze incide anche il modo in cui viene presentato il candidato. Sembra ovvio, fidatevi non lo è. In uno studio condotto alla Princeton University è stata confrontata la scelta al rifiuto. Ciò che è emerso è che nelle scelte hanno un peso maggiore gli elementi positivi delle persone, mentre nei rifiuti incide soprattutto la dimensione negativa.

Se si è di fronte alla scelta, ad esempio, tra due candidati alle elezioni politiche, di cui il candidato A è un uomo con caratteristiche normali mentre il candidato B ha qualità sorprendenti ma altrettanti difetti, se la domanda è posta in termini negativi (ossia per chi non voteresti) l’8% dei soggetti decide di non votare per il candidato A, mentre il 92% decide di non votare per B. Se invece viene posta la domanda in termini positivi (per quale candidato voteresti), il 79% dei soggetti sceglie il candidato A e il 21% quello B.

Le possibilità che B ha di essere eletto sono due volte superiori rispetto a quando la domanda è posta in termini negativi. Questo succede perché nel primo caso le persone si focalizzano sugli aspetti marcatamente negativi che pesano sulla scelta in modo maggiore rispetto a quelli positivi; nel secondo caso l’attenzione si centra più facilmente sugli aspetti positivi che, questa volta, pesano più di quelli negativi. In questo caso, quindi, il candidato A dovrebbe impostare la campagna elettorale sugli aspetti negativi dell’avversario, così da spingere la scelta degli elettori in termini di rifiuto, mentre il candidato B dovrebbe fare campagna sui propri aspetti positivi per aumentare le possibilità di vittoria.

VOTO L’IMMAGINE O IL CONTENUTO?

Siamo influenzati dall’immagine del politico, fatta di ciò che dice, di come lo dice, della personalità che mostra in pubblico, catturata da telecamere e selfie scattati anche nel privato, fino a costruire una rappresentazione di un Sé che deve trasmettere la possibilità di rispondere ai bisogni degli elettori che altrimenti non lo sceglieranno.

La tendenza è lasciarci guidare dagli aspetti di personalità ricavati attraverso pochi, spesso selezionati, momenti è aggravata da una ulteriore propensione a giudicare i politici sulla base di semplificazioni cognitive ed emotive. Come mostrano alcuni studi, gli elettori invitati a descrivere la personalità che ritengono propria dei leader politici, fanno riferimento esclusivamente ad aspetti legati ai tratti dell’energia e dell’estroversione, trascurando le altre dimensioni della personalità ben più importanti per affidare razionalmente il governo del proprio paese.

Pertanto, nel processo di percezione della personalità del politico che guida gli elettori, quei fattori più superficiali e legati all’immagine, sembrano giocare un ruolo più forte, indipendentemente dalle preferenze politiche espresse dai votanti e dallo schieramento politico in cui si colloca il candidato che viene giudicato. Agendo come una calamita, caratteristiche connesse ad aspetti esteriori quali l’innovatività e la sincerità, sembrano catturare l’attenzione degli elettori, portando ad una generalizzazione della positività della personalità del candidato prescelto.

APPROVI CIO’ CHE VOTO?

Un altro fattore che influenza l’espressione del voto è la naturale tendenza della memoria degli elettori ad essere più sensibile a ricordare meglio eventi accaduti o narrati di recente su cui viene consolidata la propria scelta di voto, malgrado i complessi intrecci della storia narrata durante un governo.

Esiste poi un ulteriore fattore che può influenzare l’espressione del voto, costituito dalla presunta approvazione del voto da parte delle persone importanti. In relazione a questo, la preoccupazione di essere disapprovati da familiari, amici, parenti sembra giocare un peso maggiore sugli elettori di sinistra, mentre quelli di destra sono più centrati sull’approvazione che potrebbero ricevere dai propri cari votando lo schieramento “familiare”, un rinforzo positivo che influenza meno il comportamento rispetto alla possibile “punizione” rappresentata dalla disapprovazione.

A questo punto l’unica cosa da fare è ricordare consapevolmente e onestamente (per quanto possibile) a noi stessi, le reali ragioni che ci spingono a scegliere o a rifiutare un candidato. Buon voto!

MANGIARE in COMPAGNIA? fa INGRASSARE

Che differenza c’è fra un essere umano e un pollo?

Nessuna, dice la scienza. Almeno in fatto di cibo.

Un pollo che ha già mangiato quanto basta per saziarsi, ricomincia a mangiare se nella gabbia a fianco viene messo un pollo affamato.

Una persona parca nell’alimentazione, mangia molto di più se si trova in un gruppo di buone forchette.

Chi pranza con un altro commensale assume il 35% di cibo in più rispetto a quando è da solo. Quattro persone allo stesso tavolo mangiano il 75% in più; se le persone sono più di sette la percentuale sale a 96%. Allo stesso modo una persona che ama il cibo, tenderà alla moderazione in un gruppo che mangia poco: il comportamento medio del gruppo esercita una notevole influenza.

Questa informazione la conoscono molto bene i pubblicitari che con il loro sottolineare continuamente di un dato prodotto “è il preferito dalla maggioranza” o “sempre più persone” lo consumano… ci spingono a comprare ciò che fa la maggioranza.

Subiamo quindi, come i polli, l’influenza non voluta di altre persone e abbiamo la tendenza a essere condizionati dalle abitudini alimentari di chi ci sta vicino durante i pasti, quali che siano le loro intenzioni.

Le donne nello specifico a un appuntamento galante tendono a mangiare meno, gli uomini di più, convinti che il sesso femminile sia favorevolmente impressionato.

Secondo un recente studio condotto, se si vuole portare avanti una dieta è meglio non accettare inviti a pranzo o a cena a casa di familiari o amici, men che meno al ristorante. E la motivazione è semplice: la possibilità di trasformare i buoni propositi in un fallimento e di abbandonare la dieta definitivamente sono del 60%. Lo studio è stato condotto per 12 mesi su 150 persone, tutte messe a regime dietetico per perdere peso. Il risultato è stato netto: il rischio di “sgarrare” era più elevato se non si mangiava da soli. Ma non è solamente la convivialità a rovinarci la linea: assumere cibo al lavoro è più “pericoloso” che mangiare a casa, perché è davvero difficile resistere al dolcetto portato dal collega per festeggiare un compleanno, una promozione o una maternità. E le possibilità di dire addio alla dieta salgono al 40%.

Dove mangiare, allora? L’automobile è il posto migliore: lì non ci sono tentazioni, e poi la scomodità fa ridurre il tempo dedicato al pasto. In questo caso la possibilità di rinunciare al regime ipocalorico è solo del 30%. Quindi se volete perdere peso, andate a pranzo con un’amica che vanta il peso forma (ma senza divorare di nascosto i suoi avanzi).

MAKE IT EASY – DECIDERE, con i NUDGE, è SEMPLICE!

Quando prendiamo decisioni, incappiamo inevitabilmente in errori di ragionamento, le cosiddette euristiche e distorsioni cognitive. Ci sono però strategie, “spinte gentili”, che spingono a compiere scelte in modo volontario, verso comportamenti più efficaci ed efficienti per se stessi e la collettività.

Le spinte gentili o nudge sono percorsi cognitivi ed emotivi frutto degli studi delle scienze comportamentali, diventati finalmente celebri grazie al recente conferimento del premio Nobel in economia al prof. Richard Thaler. Thaler da dimostrato la possibilità di architettare scelte migliori partendo dall’evidente presupposto che gli esseri umani sono “Umani”, dotati di euristiche ed emozioni, e non “Econi”, esseri dotati dell’impeccabile valutazione razionale.

Conoscendo gli errori di ragionamento automatici che ci caratterizzano, è possibile creare le condizioni per sviluppare l’ “architettura delle scelte” degli individui con il fine di suggerire e promuovere le migliori scelte possibili. Questi stimoli che fungono da spinte a determinate azioni, sono semplificazioni del processo decisionale.

Imparare a identificare e mediare i principi automatici alla base del Decision Making offre l’opportunità di creare il miglior contesto per favorire determinate scelte a diversi livelli. Una spinta gentile per favorire le scelte: ecco a cosa serve il Nudge

Molte decisioni vengono prese grazie al sistema 1, il pensiero spontaneo che richiede poco o nessun impegno cognitivo, essendo guidato da emozioni immediate e innescato istintivamente dall’ambiente circostante. Il vantaggio del Nudging è proprio l’essere una spinta gentile, consona al proprio funzionamento psicologico. È infatti possibile indirizzare le persone, senza costringerle, ma semplicemente cambiando la modalità di presentazione della scelta.

Per esempio, sebbene desideriamo razionalmente mangiare sano e perdere peso, continuiamo ad acquistare le barrette di cioccolato disponibili nei distributori automatici. Questo tipo di “offerta” si sposa perfettamente con il potere immediato del nostro pensiero automatico del piacere che la barretta ci regala e le persone sono indotte istintivamente ad acquistarla.
Possiamo però promuovere i comportamenti target modificando l’offerta dell’ambiente, attraverso le “spinte gentili”, stimoli semplici in grado di condizionare la risposta dei comportamenti degli utenti.

Essendo il “decision making” basato sul funzionamento dei processi mentali, per lo più impliciti, possiamo aiutare certe decisioni utilizzando stimoli che creino le condizioni propense a determinate scelte, ad esempio variare l’ordine di presentazione delle alternative di scelta o ponendo alcune opzioni come default. Questo è parte di ciò che faccio nel mio lavoro. Pensare strategie di nudging da applicare al mondo aziendale a vari livelli.

Le strategie di Nudging funzionano quindi per aiutarci a fare la scelta migliore tra diverse opzioni, dove spesso i contesti di presentazione sono strutturati in modo da produrre risultati incerti o scarsi.

Il nudge è ovunque: dalle informazioni sui media alla presentazione dei prodotti al supermercato. Mettere a disposizione alcune informazioni o in esposizione alcuni prodotti significa fornire una “architettura delle scelte” che favorisce delle risposte cognitive, emotive e comportamentali. Ogni volta che ci troviamo di fronte alla creazione della presentazione di stimoli che sarà punto di partenza di un percorso decisionale dell’utente, si pone la questione su come organizzarne l’architettura. Pensando a questi problemi in termini di “architettura della scelta”, possiamo lasciarla al caso oppure promuovere un percorso che nel rispetto dell’etica sia consono al raggiungimento di comportamenti target. Possiamo “spingere con gentilezza” gli utenti a seguire determinati percorsi decisionali per scelte migliori, semplificando il processo di scelta, cancellando le complessità inutili.

Validità ed efficacia di questi strumenti è riportata nel rapporto “Mind, Society and Behavior” del World Bank Group dove si evidenzia come i principi alla base del Decision Making possono determinare scelte a comportamentali più funzionali: Thinking automatically, Thinking socially, e Thinking mental models.
A confermare l’importanza dell’applicazione del nudging, il presidente Obama predispose la behavioral insight unit, così David Cameron.

Altri esempi: Dean Karlan, professore a Yale, ha sviluppato Stickk.com, un sito che aiuta le persone a raggiungere i loro obiettivi, come perdere peso o smettere di fumare. Questo sito offre due modi per impegnarsi a raggiungere lo scopo: finanziario e non finanziario. Con gli impegni del primo tipo, l’utente deve scommettere dei soldi e si impegna a raggiungere l’obiettivo entro una certa data. Se l’obiettivo viene raggiunto, ottiene indietro il denaro scommesso. Se fallisce, il denaro va in beneficenza. Con gli impegni non finanziari l’utente non punta denaro ma può comunque essere messo sotto pressione dai suoi amici o familiari che possono monitorare il progresso attraverso dei blog di gruppo.

Un altro modo per aiutare le persone a migliorare le loro decisioni, in particolare rivolto alle ragazze, è l’iniziativa statunitense denominata “un dollaro al giorno” (in inglese: Dollar a day). Uno dei più gravi problemi per molte ragazze statunitensi è rappresentato dalle gravidanze in età adolescenziale. Le statistiche hanno mostrato che le ragazze-madri con già un bambino a carico tendevano a rimanere di nuovo incinte entro un anno o due. Pertanto, per affrontare il problema molte città degli Stati Uniti hanno implementato l’iniziativa chiamata “un dollaro al giorno”: le ragazze-madri con già un bambino a carico avrebbero ricevuto un dollaro per ogni giorno in cui non erano in stato di gravidanza. I risultati sono stati promettenti e il numero delle ragazze rimaste incinte si è ridotto notevolmente. Inoltre, i costi del programma si sono rivelati inferiori rispetto ai sussidi per ragazze madri.

Il Destiny Health Plan è un programma ideato da alcune compagnie di assicurazione statunitensi ed è esplicitamente progettato per dare alla gente un incentivo a fare scelte sane. Un partecipante che decide di intraprendere scelte salutari, come iscriversi in palestra o iscrivere il figlio a una squadra di calcio, può guadagnare “punti vitalità” che possono essere utilizzati per l’acquisto, per esempio, di biglietti aerei o camere d’albergo.

Nudge, quindi, tutta la vita! Make it easy!

METTETE FIORI nei VOSTRI CANNONI… NUDGE in TEMPI non SOSPETTI.

Un mattino gli automobilisti di Bogotà (Colombia) trovarono ai semafori gruppi di clown che piangevano se non ci si fermava con il rosso e che danzavano, offrendo fiori, se si rispettavano le regole.

Ecco uno fra gli esperimenti più noti e riusciti dell’applicazione della politica del cambiamento sociale (un nudge nel vero senso della parola), il cui scopo era prendere apertamente in giro gli automobilisti indisciplinati, rappresentando sul palcoscenico reale della strada cosa volesse dire osservare le regole.

Un esempio che fa riflettere sull’intero sistema normativo, anche italiano: il codice stradale è fondato sull’idea dell’evitare la pena. Ma scappare da una punizione è un’azione di breve respiro, che non porta a modificare i propri comportamenti nel lungo termine. Cosa accadrebbe se, invece di essere puniti per aver infranto delle norme, venissimo premiati per la buona condotta?. Saremmo indotti a proseguire il comportamento virtuoso.

L’idea, spetta all’eclettico filosofo e pedagogo Antanas Mockus, già sindaco di Bogotà, che applicò con successo le teorie sociali nella gestione urbana, in una metropoli di 6 milioni e mezzo di abitanti, piagata da criminalità, traffico e inquinamento. L’azione di mandare dei clown a dirigere il traffico, per i suoi buoni risultati, venne replicata anni dopo, nel 2011, da Carlos Ocariz, capo della Municipalità di Sucre, una delle aree più povere di Caracas (Venezuela).

Applicare le teorie sociali, significa applicare le scienze del comportamento, che hanno portato dapprima allo sviluppo della Behavioral Economics (economia comportamentale) e poi alla nascita dei Nudge team, o Behavioral insight team ossia gruppi di esperti in supporto all’operato governativo e/o privato.

I Nudge team hanno il compito di esplorare, misurare, raccogliere dati, valutare e applicando il metodo scientifico, facilitare, ovvero spingere, indirizzare gentilmente le decisioni delle persone verso opzioni di scelta più in linea con i loro valori, tutelando al contempo la loro libertà di scelta.

La spinta gentile (nudge) può essere applicata in infiniti ambiti: dalla alimentazione alla gestione del traffico, dalla lotta alla evasione fiscale all’aumento della percentuale degli elettori che si recano alle urne, fino ad un più consapevole rapporto con l’ambiente.

Un esempio di politiche di nudging che hanno realmente portato a miglioramenti dei comportamenti sociali è quello spiegato nel sito del governo statunitense (https://www.choosemyplate.gov/) dedicato all’alimentazione, per il quale Cass Sunstein ha realizzato l’immagine di un piatto contenente le giuste percentuali di nutrienti da assimilare durante il giorno. Il passaggio dalla piramide alimentare al piatto ha semplificato l’accesso degli utenti al sito e la comprensione delle informazioni veicolate.

Altri efficaci esempi di Nudge nei prossimi articoli. Nudge: make it easy

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Che differenza c’è fra un essere umano e un pollo?

Nessuna, dice la scienza. Almeno in fatto di cibo.

Un pollo che ha già mangiato quanto basta per saziarsi, ricomincia a mangiare se nella gabbia a fianco viene messo un pollo affamato.

Una persona parca nell’alimentazione, mangia molto di più se si trova in un gruppo di buone forchette.

Chi pranza con un altro commensale assume il 35% di cibo in più rispetto a quando è da solo. Quattro persone allo stesso tavolo mangiano il 75% in più; se le persone sono più di sette la percentuale sale a 96%. Allo stesso modo una persona che ama il cibo, tenderà alla moderazione in un gruppo che mangia poco:il comportamento medio del gruppo esercita una notevole influenza.

Questa informazione la conoscono molto bene i pubblicitari che con il loro sottolineare continuamente di un dato prodotto “è il preferito dalla maggioranza” o “sempre più persone” lo consumano… ci spingono a comprare ciò che fa la maggioranza.

Subiamo quindi, come i polli, l’influenza non voluta di altre persone e abbiamo la tendenza a essere condizionati dalle abitudini alimentari di chi ci sta vicino durante i pasti, quali che siano le loro intenzioni.

Le donne nello specifico a un appuntamento galante tendono a mangiare meno, gli uomini di più, convinti che il sesso femminile sia favorevolmente impressionato

Quindi se volete perdere peso, andate a pranzo con un’amica che vanta il peso forma (ma senza divorare di nascosto i suoi avanzi).